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PERFECT BEINGS Vier Inside Out 2018 USA

Il terzo album della band di Johannes Luley fa registrare importanti cambiamenti, il primo dei quali rappresentato dal passaggio sotto l’ala protettrice della Inside Out, riconoscimento alla buona reputazione guadagnata coi primi due ottimi album, ricompensato peraltro con l’album più complesso e meno immediato della loro produzione. D’altro canto c’è da rimarcare la perdita della sezione ritmica, rimpiazzata dallo stesso Luley per quanto riguarda il basso e dall’ospite Ben Levin (nessuna relazione, credo, con l’omonimo chitarrista dei Bent Knee) alla batteria, rimpiazzato a sua volta, dopo la registrazione dell’album, da Sein Reinart. Accanto ai tre membri titolari rimasti, c’è questa volta una pletora di ospiti che offrono i loro contributi a fiati, percussioni ed archi di vario tipo (tra cui koto, tabla ed erhu) che arricchiscono i suoni della band.
Per il resto, la struttura di quest’album ricalca in linea generale il precedente, con le canzoni raggruppate e strutturate come una serie di suite dalle durate omogenee (4 in tutto, per un totale di 74 minuti), ed atmosfere musicali ancora molto debitrici di Yes e Pink Floyd ma in maniera decisamente meno smaccata che in precedenza, riuscendo a sviluppare un proprio stile musicale in maniera più personale e senza dubbio più eclettica. Benché l’approccio sia ancora in parte abbastanza fruibile, inoltre, con alcuni (pochi) momenti che virano a soluzioni pop, in generale l’album ha un fluire sognante ed etereo, con soluzioni musicali più elaborate che in passato e diversi movimenti caratterizzati da atmosfere mistiche e quasi ipnotiche, con colorazioni cameristiche ma anche flower power.
Già la suite iniziale “Guedra” è la sintesi perfetta di tutto ciò: lunghi excursus strumentali che lasciano il campo ad impennate dai sapori più pop, con belle ed inquietanti armonie vocali, che si stemperano e sfumano poi ancora in progressioni psichedeliche.
La susseguente “The Golden Arc” inizia con un lungo brano orchestrale, decisamente orientato sulla musica classica contemporanea. I tre movimenti successivi rimangono sulle stesse cadenze, pur aggiungendovi componenti rock, con un finale caratterizzato da un crescendo anthemico.
Le cose vanno addirittura oltre con la suite successiva “Vibrational”, misticismo e complessità ai loro massimi livelli, con synth glaciali che creano ambientazioni kraut e parti cantate altrettanto fredde. La suite si anima un po’ all’altezza del terzo movimento (“Altars of the Gods”) per tornare poi a vagare nei freddi spazi siderali in fase di chiusura.
La suite di chiusura s’intitola “Anunnaki” e segna un certo ritorno al passato, essendo la parte di quest’album più simile a quanto abbiamo ascoltato nei lavori precedenti, con cinque brani veloci ed immediatamente assimilabili che in parte possono consolare chi cercava dai Perfect Beings un Prog di più facile assimilazione. Bella peraltro è “A Compromise”, brano accattivante in cui la voce di Hurtgen dà il meglio di sé nella sua versione melodica ed ammiccante.
“Vier” è, come abbiamo già detto, l’album più complesso della discografia dei Perfect Beings. Il gruppo ha spiazzato senz’altro tutte le aspettative, forse in maniera negativa per quanto riguarda chi si aspettava qualcosa ammiccante al Prog classico, sulla linea di quanto ci si era trovati ad ascoltare nei lavori precedenti. Personalmente le mie aspettative, pur avendo comunque apprezzato quanto fatto finora, sono state piacevolmente sorprese; di sicuro la band riesce a stupire ed incuriosire con queste 4 suite ed è decisamente consigliabile procedere con attenzione nelle operazioni di ascolto, allo scopo di non subire contraccolpi indesiderati.



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Alberto Nucci

Collegamenti ad altre recensioni

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