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THE C:LIVE COLLECTIVE The age of insanity Bumnote Records 2018 UK

Il signor Clive che dà il nome a questo progetto è niente meno che Clive Mitten, storico bassista dalla treccia fluente dei Twelfth Night di cui rappresentava forse la maggior mente compositiva. Dopo l’effimera reunion della band degli anni passati, il nostro, la cui treccia oramai è solo un ricordo, si è deciso a tornare a imbracciare lo strumento e a riprendere a comporre musica, dopo 30 anni, spinto, a quanto pare, dall’omicidio di Jo Cox ed altri accadimenti politici (la Brexit non viene menzionata ma…). Lo stesso Clive afferma: “improvvisamente il mondo che Geoff ed io avevamo previsto in “Fact and Fiction” sembrava molto reale”.
Accanto a lui, in questa nuova avventura, ci sono Fudge Smith, ex drummer dei Pendragon, Mark Spencer, chitarra e voce (già nell’ultima incarnazione dei TN, e con precedenti esperienze in altri gruppi Prog e affini), Stephen Bennett, tastiere (già coi No Man e Henry Fool) e James Mann, figlio proprio di Geoff Mann.
Questo “The Age of Insanity” è il primo di una serie di album già preannunciati e consiste, da un punto di vista strutturale, in una suite (“The Fifth Estate”) divisa in 4 parti che costituisce la riproposizione, manipolata, destrutturata ed espansa, di “We Are Sane”, uno dei brani più rappresentativi dei Twelfth Night.
Già la composizione originale, che ovviamente tutti gli estimatori della band conoscono, era incredibilmente tentacolare, composita e multiforme, con un numero incredibile di colpi di scena e cambi di umore che in circa 12 minuti conteneva materiale per una decina di canzoni. Questa riproposizione presenta nella sua prima parte (“The Dictator Speaks”), praticamente per intero, la canzone originale, con la graffiante voce di Spencer (inavvicinabile al carisma e personalità di Geoff Mann, ovviamente). Le successive parti sono strumentali e, come si diceva, presentano delle destrutturazioni di alcuni temi e momenti della canzone, espandendoli e dilatandoli a dismisura, utilizzandoli per creare atmosfere inquietanti ed opprimenti, a momenti ai limiti della musica ambient. I 54 minuti di “The Fifth Estate” sono una lunga cavalcata Progressive in cui, si diceva, momenti quasi ambient, dalle atmosfere espanse e dilatate, lasciano spazio a sfuriate più decise oppure confluiscono dentro a variopinti canali di musica elettronica, con tastiere ampie, ritmiche ripetitive e le ancora riconoscibili note del basso di Clive che ogni tanto fa capolino.
I passaggi tra una situazione umorale e l’altra sono decisamente meno frenetiche rispetto alla canzone originale, della quale la musica sembra quasi timorosa di ripercorrere le stesse orme, sicuramente distanziandosene in quanto a musicalità. Una semplice riproposizione, ancorché riveduta e corretta, sarebbe stata irrispettosa ed inutile. Mitten qui invece ha voluto riprendere in mano lo spirito originario con cui, assieme a Mann, ha composto la canzone (e tutto l’album “Fact and Fiction”) ed ha creato un mondo tutto nuovo, prendendo solo spunto da alcuni umori e temi musicali.
L’opera non si conclude qui: in chiusura abbiamo la riproposizione di “This City”, anch'essa presente in “Fact and Fiction”. Alla voce c’è James Mann, alcune parole sono cambiate ed il titolo è diventato “This City is London”. Al di là di tutto, posso dire che ascoltare la voce di James mi ha provocato qualche brivido? La voce del padre echeggia senza dubbio nell’ugola di questo ragazzo.



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Alberto Nucci

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