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YESTERNIGHT The false awakening 12 Sounds Production 2018 POL

La Polonia sembra volersi confermare come nuova patria del prog-metal, magari assimilato ad un certo tipo di neo-prog. I singoli protagonisti cominciano ad affermarsi e tra questi occorre individuare Kamil Kluczyński, abile batterista anche con gli Art of Illusion. Un doppio ruolo che porta a proposte simili, anche sfruttando immagini di copertina in entrambi i casi molto suggestive e non certo banali. La band che qui adotta un monicker in inglese arcaico, con cui un tempo si indicava la notte passata, ha debuttato dopo circa dieci anni di attività. Assieme al batterista ci sono il chitarrista/tastierista Bartek Woźniak ed il cantante Marcin Boddeman, a cui si aggiunge il bassista Tomasz Znyk che qui figura come ospite, più vari addetti ai cori, tra cui Filip Wiśniewski (chitarrista proprio dei succitati Art of Illusion).
Il fantasioso artwork di Andrzej Kaczmarek ricorda le immagini evocative dei Pink Floyd, come del resto la title-track che funge da introduzione, ma le similitudini con la collaudata ditta Roger Waters & c. finiscono qua; si tratta infatti – come dice il titolo – di un “falso risveglio”, in cui i sogni si trovano l’uno dentro l’altro. La tematica è quella del cosiddetto “sogni lucido”, cioè quel particolare stato onirico in cui il soggetto mantiene per l’appunto una certa lucidità, che gli permette di interagire con le scene sognate e indirizzarne coscientemente gli esiti. Così, le canzoni che seguono sono tutte abbastanza energiche, permeate comunque da quel grigiore da primo inverno (al massimo tardo autunno!) esistenziale di band come Anathema ma anche come gli stessi Porcupine Tree da “Absentia” in poi. Il prog-metal risulta così smussato e in buona parte dilatato, portato però in un territorio che sembra quasi sempre uguale a se stesso. Questo non è certo un punto a favore, anche se lo sviluppo dei brani appare maggiore rispetto ad altre band omologhe come gli stessi Riverside. Facendo un salto verso la fine, la conclusiva “Just Try!” sembra la migliore del lotto, anche se undici minuti e mezzo sono forse eccessivi; nonostante ciò, risulta un buon sunto di quanto espresso nell’arco dell’album (una prerogativa, questa del pezzo più lungo, che si ritroverà anche nell’altra band di Kluczyński), chiuso poi da un lungo ed ottimo assolo di chitarra, che costituisce quanto di meglio contenuto in questo esordio.
Le altre composizioni si assestano su una onesta sufficienza. L’impatto di “My Mind” è più che buono, anche se poi non arriva quel quid che ci si aspetterebbe. Sulle medesime tonalità “Who You Are”, che sembra già di aver sentito da qualche parte (magari in campo italico), nonostante ci si sforzi di non far terminare il ritornello in maniera melodica bensì dissonante. Interessante l’assolo di chitarra che si stava cominciando a sentire su “Solitude” (aperta e chiusa con l’acustica), che però termina quasi subito, e anche “Lost” mostra spunti di interesse; energica, romantica e possibilmente più solare rispetto a tutto il contesto, cantata con entusiasmo e caratterizzata da delle partiture che in fase strumentale somigliano a quelle dei Threshold . Gli amanti del genere, inoltre, apprezzeranno la ballata “To Be Free”, con il suo cantato malinconico, accompagnato da un pianoforte dello stesso umore. Kamil Kluczyński si conferma lungo tutto il lavoro come batterista davvero capace, così come gli altri componenti si dimostrano professionisti di tutto rispetto. Manca purtroppo l’elemento che faccia scattare davvero l’entusiasmo, portando alla distinzione, ma questo difficilmente importerà alle nuove leve tra gli ascoltatori. Per quest’ultimi, si tratterà senza dubbio di un lavoro più che buono.



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Michele Merenda

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