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FORGAS BAND PHENOMENA L’oreille électrique Cuneiform Records 2018 FRA

Se un giorno dovesse spuntare sullo skyline parigino la silhouette di una grossa ruota panoramica di ferro penserei senza esitazione che è stata finanziata da Patrick Forgas: il celebre batterista dall’anima Canterburyana la ha trasformata in una vera e propria icona che ricorre in molti dei suoi album e che anche questa volta fa bella mostra di sé in copertina, raffigurata come fosse una cortina di Tesla da cui si dipana un grosso fulmine che galvanizza un orecchio collocato in primo piano. L’orecchio potrebbe essere proprio quello di Forgas dal momento che l’oreille électrique del titolo non solo è una specie di omaggio a “Camembert Électrique” ma allude anche ad un attacco di neurite vestibolare che colpì il musicista nel 2014 e che lo costrinse a cancellare molti concerti.
Con qualche piccola variazione la corrente line-up sopravvive ormai quasi intatta dal 2008 anche se da allora, a parte questo di cui parliamo, sono stati realizzati due soli album. Un nuovo chitarrista, Pierre Schmidt, si unì al gruppo nel 2012 e più recentemente ecco a sostituire Kengo Mochizuki, tornato a vivere in Giappone, l’esperto bassista Gérard Prévost che nel 1977 suonò proprio con Forgas nell’album “Cocktail”. Il gruppo, come al solito diretto e coordinato dal suo leader, che rimane l’unico compositore ed arrangiatore di tutto ciò che abbiamo il piacere di ascoltare, ha quindi avuto modo di suonare molto assieme, raggiungendo un affiatamento tale che ogni singolo passaggio di questo album sembra prodotto dai minuti meccanismi di una macchina di altissima precisione.
L’album si compone di 5 lunghe tracce che oscillano dai 9 ai 12 minuti circa e che potrebbero essere a tutti gli effetti delle mini suite strumentali. Già da qui si intuisce che avremo a che fare con una proposta impegnativa ma a questo i fan della Forgas band sono ormai abituati. Lo stile non è una novità: si tratta di uno jazz rock dalle fragranze Canterburyane, con numerosi omaggi a Soft Machine, Gong e Hatfield And The North, suonato con spietata precisione e scandito da un’azione ritmica della batteria elaborata con estrema raffinatezza secondo schemi complessi ma incredibilmente regolari nella metrica e costanti nel tocco. Non siamo a livelli di gelo emotivo come quello che caratterizzava “L'Axe Du Fou” (2009) ma a mio giudizio voliamo su quote leggermente inferiori rispetto al precedente “Acte V”, risalente ormai a 6 anni fa, ma siamo anche ben lontani da “Soleil 12” (2005), album particolarissimo perché registrato dal vivo e forse proprio per questo oltremodo coinvolgente.
La partenza è affidata a “Délice Karmâ”, brano che parte da molto lontano perché pensato già ai tempi di “Synchronicité” (2002), album appartenente alla produzione da solista di Forgas. Della prima stesura in realtà sopravvive solo la parte introduttiva che ha resistito ai numerosi rimaneggiamenti successivi ed il risultato è comunque perfettamente in armonia col resto del disco. Siamo soltanto su livelli un tantino più elettrici, con un impatto che forse appare un po’ immediato ma che rappresenta il primo passo di un percorso in continua ascesa con il passare delle tracce. Ancora un volta il violino di Karolina Mlodecka rappresenta spesso il fuoco melodico della musica e attorno a lui ruotano i fiati di Sébastien Trognon (sax alto, tenore e soprano e flauto) e di Dimitri Alexaline (tromba, trombone e flicorno) che dipingono scenari suggestivi e dalle colorazioni interessanti. Il cuore elettrico di tutto l’album, e di questo pezzo in particolare, è invece rappresentato dalla sei corde di Pierre Schmidt, artefice di lunghi assoli, snocciolati con precisione e velocità senza appesantire la struttura di brani che si dimostrano costantemente agili, misurati, eleganti e finemente cesellati. Il titolo “Pierre Angulaire” della traccia di chiusura è proprio un omaggio a Schmidt che indica il suo importante ruolo nell’intelaiatura di composizioni ricche di dettagli. Non si tratta comunque di un pezzo chitarristico, come giustamente potreste pensare, ma la chitarra entra sempre in un processo musicale complesso e corale in cui ogni musicista sa ritagliarsi il suo ruolo senza sopraffare gli altri, incluso il tastierista Igor Brover che è l’unico che non ho ancora citato e che proprio in questo brano intesse un arazzo duttile e scintillante col suo caldo piano elettrico, non lesinando all’occorrenza assoli di ispirazione jazz.
Ogni particolare di questo disco ha riferimenti ben precisi che vengono spiegati nelle note di copertina ed è così che “Septième Ciel”, siano tornati indietro alla seconda traccia, è il nome dello studio dove la line-up più vicina a quella attuale si riunì per la prima volta per registrare. Questo brano in particolare gode di delicate aperture melodiche con momenti molto poetici e stuzzicanti aperture jazz. Abbiamo già spiegato il significato della title track mentre “Crème Anglaise” si riferisce invece a una varietà inglese di crema pasticciera di cui Annie, compagna di Forgas da almeno 30 anni, è particolarmente ghiotta.
Sicuramente questo nuovo album farà piacere agli estimatori del gruppo che assaporeranno un’opera di buon livello e suonata con grande tecnica ma personalmente devo ammettere che questa musica, bella e chirurgica, non ha colpito le mie orecchie con la scossa che la copertina sembrava promettere ma le ha attraversate spesso e volentieri senza fare nemmeno il solletico, lasciando tracce emotive assai poco persistenti. Solo con l’impegno di ascolti successivi sono riuscita ad apprezzarla al meglio cogliendone le tante sfumature ma il problema è proprio quello, la mancanza di qualcosa che parli direttamente all’anima dell’ascoltatore più che al suo cervello. Può darsi che per voi non sia così, vi invito quindi a provare di persona dal momento che questo album è, nel bene e nel male, uno dei migliori dell’anno.



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Jessica Attene

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FORGAS BAND PHENOMENA L'axe du fou 2009 
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