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ARTURO STALTERI Rings - il decimo anello Materiali Sonori 2003 ITA

Al vero cultore della buona musica il nome di Arturo Stalteri non può in alcun modo giungere nuovo. Nel corso degli anni '70, infatti, il suo pianismo fresco e moderno donò imprescindibili peculiarità ai due dischi realizzati dai Pierrot Lunaire (l'esordio omonimo del '74 e "Gudrun" del '77), forse il gruppo più originale fra quelli sorti nella seconda ondata del pop italiano. Dopo tale esperienza, Stalteri ha iniziato una carriera solistica che lo ha progressivamente portato ad approfondire certe tematiche a lui care, nelle quali la classicità del Novecento si contamina con altri stilemi come la new age e la world music.

"Rings" costituisce una personalissima rilettura dell'opera di Tolkien: si tratta di un concept album le cui idee melodiche vengono via via riprese e modificate, permanendo sempre nell'alveo di una dignitosa sobrietà del tutto priva di smargiassate da supermercato. Fin dalle iniziali "Baggins' Theme" e "Bilbo's Party" emerge il prezioso ed intrigante minimalismo di Stalteri, che in questo disco si coniuga alla perfezione con le arie celtiche suggerite dagli altri strumenti quali il violino, la ghironda, i flauti e il cromorno. Di una bellezza struggente è la nymaniana "Gandalf the White": l'impareggiabile voce dell'ospite Jenny Sorrenti e il malinconico cello giocano un ruolo importante nell'evocare la giusta atmosfera. Il viaggio prosegue con l'incredibile fascino di "Rivendell" e le sue circolari soavità, che non potranno dispiacere a chi amato il debutto dei Pierrot Lunaire. Fondamentali sono poi gli undici minuti e mezzo de "Le ultime luci di Brea": bellissima la trama pianistica di Stalteri, solo in apparenza semplice ma in realtà ricca sia di studio che di emotività, tanto che si rimane coinvolti e trascinati in un vero mondo incantato.

New age?... Forse, ma solo perifericamente; certo è musica che ha in sé il potere di rilassare, di comporre i dissidi dell'anima dell'ascoltatore. Talune coordinate classico-contemporanee sono fatte proprie e riadattate, un po' come in Einaudi, mentre "Fangorn" e "Cavalieri neri" si aprono di più a singolari dissonanze. Ci si riplaca con i morbidi vortici di "Lo Specchio di Galadriel", ipnotici nel loro trasmettere sensazioni di pace universale, prima della cupa epicità di "The Old Forest". Quantomai vari gli otto minuti di "Théoden e i Ricordi": nuovamente siamo rapiti nei caleidoscopici gorghi della più profonda essenza stalteriana, e chiudono in bellezza la nostalgica "Verso Lórien" (ancora con la Sorrenti), l'avvincente cavalcata di "The ride of the Rohirrim" e le prelibate delicatezze di "The Grey Havens' lullaby". Completa il CD una sezione multimediale con tre bonus tracks.

Costantemente elegante, questo lavoro ha il pregio di rivelarsi opera matura e soprattutto corale: ancorché le redini compositive siano quasi sempre nelle mani di Stalteri, dal punto di vista esecutivo l'apporto di Yasue Ito, Laura Pierazzuoli e Stefano Pogelli risulta senz'altro importante; in più, forse sono state definitivamente abbattute le barriere fra la musica colta e quella di estrazione più popolare. Dunque "Rings" è, per chi scrive, il capolavoro dell'artista romano: merita conoscerlo.

 

Francesco Fabbri

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