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STEVE HILLMAN Convergence Cyclops 1999 UK

Tastierista tra i più apprezzati della scena inglese, Steve Hillman ha una lunga carriera alle spalle. Autore di dieci album su cassetta nel corso degli anni Ottanta e di tre cd nel decennio successivo sa muoversi con gusto ed intelligenza nei territori della musica elettronica. Il suono dei suoi lavori è freddo e meccanico, squadrato e geometrico, sulla scia della scuola tedesca di fine anni Settanta (su tutti, i Tangerine Dream) e del migliore synth-pop britannico (principalmente Ultravox, Tubeway Army e primi Depeche Mode). Per questa quarta realizzazione laser, Hillman pare leggermente spostare il baricentro del proprio stile, verso un approccio più prog e meno new wave, fermi restando tutti i crismi del suo back-ground. Questo “Convergence” è in effetti molto vicino ai Twelfth Night, ma anche agli Eloy di “Performance” (un disco da riscoprire, datato 1983). Il flauto, suonato dalla moglie Linda (alla quale si deve pure la copertina) dona spezie di folk spaziale ai diversi brani. Le atmosfere sono cangianti, ora rarefatte e meditative ora più ritmiche e sostenute. “Convergence”, di fatti, possiede tutti i pregi per piacere a chi ama il più classico rock sinfonico inglese, con tante tastiere, belle parti di chitarra, una batteria programmata con cura e ben quattro suites. Anche i due pezzi che – come di suo solito – Hillman recupera da vecchi nastri, in questo caso “New Horizons” (1986) e “Phases” (1989) – sono assai riusciti, coniugando in maniera efficace passato e presente. L’incisione è ottima, la grafica decisamente intrigante, in linea del resto con l’ambientazione fantascientifica che i titoli delle composizioni suggeriscono all’ascoltatore. Il polistrumentista inglese, il quale suona anche il sintetizzatore in un gruppo vero e proprio, di prossima uscita, fa a mio avviso ancora centro, con un album che accosta alla sua tradizionale elettronica un’anima molto più progressive che nei precedenti prodotti.

 

Davide Arecco

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