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RICOCHET Zarah - a teartown story ProgRock Records 2005 GER

Il nuovo lavoro della band di Amburgo giunge a ben 10 anni di distanza dal debutto discografico ("Among the Elements" del 1995). I Ricochet hanno dovuto fare i conti con diversi cambiamenti fra cui l'abbandono del cantante e frontman René Jobig e del bassista Sören Hückel. Per molto tempo il gruppo non è riuscito a colmare questo vuoto, pensando addirittura all'ipotesi di comporre soltanto pezzi strumentali. Finalmente eccoli tornare invece al completo con un nuovo cantante, Christian Heise, dall'ugola tagliente, un nuovo bassista, Hans Strenge, ed un concept album (sulla breve e sfortunata vita di una ragazza) come successore dell'ormai lontano debutto. Non è stata la mancanza di idee, precisa la band, a ritardare l'uscita di questo lavoro ma la ricerca dei nuovi elementi: il songwriting di questo materiale sarebbe iniziato addirittura prima della pubblicazione di "Among the Elements" e le canzoni sono state quindi riarrangiate e riadattate alla voce e alla personalità del nuovo singer. Delle 50 composizioni disponibili ne sono state scelte solo 8 (più un breve intro), con un accurato lavoro di scrematura. In effetti si nota una certa cura nella realizzazione del CD: le composizioni si sforzano di essere abbastanza equilibrate con un alternarsi di parti strumentali e cantate, assoli di chitarra e momenti di atmosfera. I suoni sono puliti e l'esecuzione è abbastanza accurata; lo stile musicale adottato è un progressive melodico decisamente contaminato dal metal, con riff taglienti e neoclassicismi che in pezzi come lo strumentale "Disobedience" fanno pensare ai Symphony X. A parte qualche episodio isolato, con veloci assoli di chitarra, i virtuosismi vengono comunque lasciati pressoché da parte privilegiando invece la ricerca della melodia, dell'epicità e del sentimento. Si percepisce il taglio squadrato del prog metal germanico e la voce di Christian cerca di essere convincente e piena di feeling, ricercando le ottave di La Brie nei punti topici ma risultando purtroppo lamentevole e carente di carattere nell'interpretazione. Non mancano riff energici e solenni pestate sul doppio pedale, cambi di tempo imprevisti e tutti quegli ingredienti che piacciono ad un certo tipo di pubblico. Ribadisco comunque che i funambolismi non sono fra gli elementi di pregio della band che raggiunge il massimo delle proprie potenzialità nei momenti di atmosfera come nella semplicissima ballad per voce e pianoforte "Final Curtain". Non poteva mancare la suite finale di 13 minuti, con tanto di ghost track dopo qualche minuto di silenzio. Qui il gruppo cerca davvero di dare il meglio di sé con orchestrazioni che cercano di creare un certo senso di mistero e riff cadenzati e imponenti, cori femminili alla "Great Gig in the Sky" e momenti pieni di sentimento con intermezzi di piano e chitarra acustica. Sicuramente si tratta del pezzo più riuscito che strizza l'occhio ai Savatage o ai Dream Theater di "Images and Words" anche se la lunghezza associata alla relativa mancanza di trovate che catturino l'attenzione lo rendono piuttosto dispersivo. Insomma, apprezziamo lo sforzo della band ma non del tutto i risultati che non vanno al di sopra della media dei gruppi teutonici che si dedicano a questo genere.

 

Jessica Attene

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