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FINN ARILD Serendipity autoprod. 2005 NOR

“Un album pop-rock con radici progressive”. Così viene definito quest’album di esordio dallo stesso autore, il cantautore norvegese (neozelandese di nascita) Finn Arild, polistrumentista e compositore navigato che dopo vent’anni di esperienze a livello amatoriale ha finalmente deciso di dedicarsi alla carriera musicale a tempo pieno. Con l’aiuto del produttore Tor Øyvind Quille, Finn inizia a registrare l’album partendo da un demo originalmente prodotto con l’intenzione di cercare un contratto discografico. Disilluso dalla prospettiva di royalties irrisorie, Finn sceglie la strada dell’autoproduzione/distribuzione e si chiude nello studio per buona parte del 2005 a sovraincidere voce, chitarre acustiche ed elettriche, basso, tastiere e batteria programmata, nonché a sovrintendere agli aspetti tecnici della produzione dei 12 brani di Serendipity.
Il risultato è un album melodico piuttosto eterogeneo, ma con un fattore uniformante nella raffinatezza degli arrangiamenti e nella freschezza della vena compositiva; una musica sempre discreta, mai debordante o pacchiana che si lascia ascoltare come sottofondo ma sufficientemente elaborata e intrigante da poter superare in scioltezza la prova di un ascolto dedicato, sia pure in un contesto - per l’appunto - di pop-rock intelligente.
Si passa dall’accattivante singolo “Take two and call me in the morning” (un piccolo successo radiofonico in Norvegia, con un sarcastico testo di critica sociale al sistema sanitario nazionale) ad episodi di pop melodico alla Level 42 (“Love me or not” e “My One”), passando per brani affini al new-prog inglese di Jadis o Medicine Man, come “Betting your ass on a donkey” (sì, il gioco di parole del titolo rispecchia l’argomento del testo!) o la ballata crepuscolare “Vultures of culture”. Le ingombranti figure di Gabriel e McCartney possono invece essere intraviste durante l’ascolto di “Nightly Encounters” e “How you Die” rispettivamente, la prima impreziosita da percussioni esotiche e dalle backing vocals di Maja Neeraas, la seconda dal sax di Simon Hausmann.
In generale, i brani più uptempo sono quelli in cui la vena pop prevale (e in effetti un paio di episodi sono totalmente trascurabili) così mi sento di preferire decisamente pezzi d’atmosfera come la strumentale “Lantern Waste”, dalle lunghe note sostenute di chitarra o la vagamente genesisiana (periodo Duke) “Hide”.
Avrete capito che ce n’è un po’ per tutti i gusti, ma come spesso succede in questi casi si rischia di non accontentare nessuno. Confesso però di ritrovarmi spesso ad ascoltare quest’album in modo disimpegnato in auto ed è un ascolto perfetto per l’occasione… dunque se il rock melodico è pane per i vostri denti potrete approfondire il discorso scaricando un sampler del disco direttamente dal sito di Finn: mi saprete dire.

 

Mauro Ranchicchio

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