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FROST* Milliontown Inside Out 2006 UK

Quindici anni fa avremmo accolto questo CD come un miracolo: pensate… un famoso personaggio del pop britannico decide di impegnarsi in un progetto prettamente Prog, si affida ad un'etichetta specializzata (con una distribuzione e una promozione quasi da major… anche questa una cosa che, a suo tempo, ci avrebbe esaltati non poco) e chiama accanto a sé delle figure di spicco del Prog rock mondiale. Eh sì… una quindicina di anni fa avremmo fatto sogni bagnati al solo pensiero di una cosa del genere. Adesso, nel 2006, la realtà ci dice che quell'etichetta (non solo per colpa propria, s'intende…), più che fare da traino per il Prog minore, in pratica lo ha quasi annientato, a livello di visibilità, facendo passare il messaggio che quello, e solo quello, è il Prog… tutto il resto è masturbazione sonora per sfigati in caccia delle cose più strane.
Per ciò che riguarda il progetto in esame, il personaggio in questione è tal Jem Godfrey, personaggio di per sé sconosciuto alle mie orecchie, ma che in Inghilterra, e nel dorato regno del pop, è noto per aver prodotto numerosi hit radiofonici di gente come Atomic Kitten e Ronan Keating. Attorno a sé ha formato un vero supergruppo Prog, formato dal chitarrista di Arena e Kino, John Mitchell, e dalla sezione ritmica degli IQ, John Jowitt e Andy Edwards. Il risultato è quello di un Prog commerciale, che non rifiuta le movenze della musica che amiamo, ma quasi le scimmiotta, producendosi in un festival di luoghi comuni che trova la sua epifania nei 26 minuti della finale title-track, senza dubbio non priva di attrattive a livello superficiale, con cambi di tempo funambolici ed un alternarsi di momenti di atmosfera pacati che sfociano in accelerazioni vertiginose, epiche e trascinanti, belle parti vocali e di tastiera (entrambe appannaggio di Godfrey). Insomma… senz'altro un pezzo che riscontra l'approvazione epidermica dei nostri sensi ma che in realtà scivola via senza dei veri sussulti apprezzabili. Per ciò che riguarda le cinque tracce precedenti, si scende spesso ai limiti dell'AOR. Somiglianze con la musica di Arena, Kino, Liquid Tension Experiment (ma con un quasi inesistente ruolo della componente fusion) vengono alla mente in modo prepotente; siamo sempre in bilico tra tentazioni Prog e pop, alternandosi parti un po' più complesse a refrain commerciali. Il pezzo migliore fra questi sembra essere senz'altro l'iniziale "Hyperventilate", forse addirittura il brano migliore dell'album, senza dubbio più intrigante delle successive "No me no you" e "The other me", due pezzi rock piuttosto diretti e ritmati, potenzialmente da classifica, inframmezzati dalla discreta "Snowman", un brano atipico che ci ricorda addirittura qualcosa dei "No Man". Chiudiamo coi 10 minuti di "Black light machine", il brano che precede l'epico finale e che dovrebbe rappresentarne il valido prologo ma che in realtà scorre via tra ritmiche pop con pochissimi punti di attrattiva.
Che dire…? Dobbiamo gioire perché un personaggio così importante si è voluto produrre in un album Prog? …Oppure dobbiamo storcere il naso a priori per operazioni di questo tipo? Le prese di posizioni aprioristiche non mi piacciono: se è vero che quest'album sembra a tratti la parodia di un disco Prog, è anche vero che alcune produzioni dello stesso tenore, anche di gruppi ormai già affermati, hanno dato risultati ben peggiori. E allora il mio consiglio spassionato potrebbe essere quello di far vostro questo CD, se non disdegnate certo new Prog commerciale… ma solo se lo trovate a pochissimi euro.

 

Alberto Nucci

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