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MYSTERY Beneath the veil of Winter’s face Unicorn Digital 2007 CAN

Un gap discografico di nove anni è qualcosa che può mettere a serio repentaglio la sopravvivenza di una band, eppure i canadesi Mystery tornano per dare un seguito al precedente “Destiny?” del 1998 con entusiasmo ed idee da vendere, rinnovata energia ed un nuovo cantante in sostituzione di Gary Savoie.
La formazione attuale vede sempre Michel St-Père ai comandi (leggasi composizione, testi, produzione, chitarre e tastiere) coadiuvato dal batterista Steve Gagné, dall’ottimo vocalist Benoît David (proveniente dalla cover band Close to the Edge, dedita alla riproposizione della musica degli… ok, non ve lo dico!) e da tre bassisti tra cui il membro ufficiale Patrick Bourque.
La veste grafica dell’album è di quelle extra-lusso, un booklet di 28 pagine corredato con le suggestive fotografie di Julien Roumagnac a commento delle liriche e la produzione è sicuramente sopra la media, potendo vantare suoni cristallini da fare invidia a registrazioni dal budget ben maggiore. Entriamo nel cuore dell’opera e ci rendiamo conto di avere a che fare con un concept; a giudicare dai testi non credo ci sia correlazione, ma il titolo dell’album mi ricorda il romanzo del canadese H.Nigel Thomas “Behind the face of Winter”; forse una pura coincidenza che mi lascia ancora più curioso riguardo la storia che soggiace ai dieci brani qui contenuti.
La musica! la musica! vi chiederete…. Ebbene, spero che parlare di influenze pomp, AOR e new-prog non vi dissuada dall’approfondire il discorso, perché sarebbe ingiusto e ingeneroso verso un album che nel suo genere rasenta la perfezione. In fin dei conti molte band che non abbiamo dubbi a catalogare come progressive sconfinano in queste sonorità, basti pensare agli ultimi due album dei veterani Pallas, anzi, il fatto di evitare la facile tentazione di accostarsi a più modaiole tendenze metalliche rende alle mie orecchie i Mystery ancora più sinceri e degni di stima.
L’album per la verità si apre un po’ in tono minore, con una “As I am” leggermente stereotipata ma che mette già in evidenza l’importanza dei synth in un suono comunque dominato dalla chitarra di St-Père, liquida ed evocativa. La title-track, la successiva “Snowhite” e la ballad “The sailor and the mermaid” introdotta da piano e voce, dimostrano come sia possibile suscitare emozioni semplicemente con melodie azzeccate, una voce finalmente emozionante e suoni di notevole classe e gusto.
Quando poi la costruzione si fa più articolata, come in “Travel to the night” (dai riff rocciosi che ricordano un po’ gli Yes di Trevor Rabin ed echi di “The Sentinel” dei già citati alfieri scozzesi) e la lunga “The awakening” sciogliamo ogni riserva e restiamo spiazzati da come un genere che sembra aver già detto tutto possa ancora riservarci graditissime sorprese; a dire il vero la seconda va anche un po’ oltre, tramutandosi in un’ovvia citazione di “Wind and Wuthering” (era “Afterglow” o il recente ritorno dei Genesis mi provoca strane allucinazioni?).
Qualche inevitabile momento di stanca pur presente a metà dell’album non ne pregiudica la riuscita, grazie anche alla sua durata totale non esagerata, di poco più di un’ora.
Sarò sincero: i miei gusti sono maggiormente orientati verso un prog sinfonico puro e mi accosto sempre con un po’ di timore quando sento parlare di AOR (come se il prog non sia invece orientato agli adulti!): proprio per questo, quando mi sento di non lesinare elogi per un disco ritenuto un po’ più fruibile significa che sono veramente rimasto colpito, e questo succede di rado. Quest’album lo sto ascoltando ora per l’ennesima volta ed ogni ascolto ne conferma il valore… io ve lo consiglio, purché i vostri gusti non vadano dai Magma e gli Henry Cow in su…. e per “pesare” il mio parere, tenete presente che a me “Big Generator” in fondo non dispiace affatto!

 

Mauro Ranchicchio

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