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PANDORA Dramma di un poeta ubriaco BTF/AMS 2008 ITA

A tre anni dalla fondazione e dopo qualche aggiustamento di formazione, ecco il primo lavoro del gruppo piemontese dei Pandora.
Ai tre membri storici Corrado Grappeggia (voce, tastiere), Beppe Colombo (tastiere, voce), Claudio Colombo (batteria, basso, chitarra acustica, tastiere) si è recentemente aggiunto (in tempo comunque per registrare l’album) il chitarrista Christian Dimasi.
Scoperchiamo il vaso allora, certi che non ne usciranno calamità, bensì solo buona musica.
Sin da subito i Pandora mettono le cose in chiaro: grande amore per le sonorità tipiche della stagione migliore del progressive italiano (anni ’70... ovvio...), con rimandi mai celati a PFM, Banco, Metamorfosi, Locanda delle Fate, ma (grazie forse al giovane chitarrista?) il tutto sapientemente aggiornato e attualizzato anche con un tocco “heavy” che non guasta affatto in questo contesto.
Una dimostrazione delle buone vibrazioni sonore offerte dal gruppo è senz’altro l’opener “Il giudizio universale”: ritmiche piuttosto elaborate, scandite dalle onnipresenti tastiere (ora di regale impatto, ora più di “raccordo”), gran lavoro basso/batteria e l’incedere (anche appassionato) della voce di Grappeggia, magari non un ugola d’oro, ma certamente appropriata.
Scintillante lo strumentale “March to hell”, cavalcata celebrativa le capacità del duo Colombo/Grappeggia in cui si inserisce opportunamente l’elettrica di Dimasi. La Premiata incontra Emerson che flirta con Petrucci…
Più debole “Così come sei”, soprattutto non convince il testo e l’interpretazione, mentre le musiche permangono di valore.
Notevole anche l’altro strumentale “Pandora” che alterna momenti di calma serenità ad altri più robusti, il tutto molto spontaneo e senza esagerazioni.
Memorie della Locanda delle Fate affiorano in “Breve storia di San George”, laddove invece un inizio molto sinfonico contraddistingue la title track, impreziosita circa a metà del suo sviluppo da uno struggente pianoforte. Chiude uno splendido album la lunga “Salto nel buio”, più articolata dei brani precedenti e con sfumature jazz che non ci aspettavamo (ma che apprezziamo); il motivo ha il solo torto di chiudersi in modo un po’ repentino.
Inget nytt under solen? Niente di nuovo sotto il sole? Concedetecelo: e allora?

 

Valentino Butti

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