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MARTIGAN Vision Floh Dur 2009 GER

Ormai dati per dispersi dopo ben sette anni dalla pubblicazione del precedente “Man of the moment”, ecco ricomparire il quintetto di Colonia con quello che senza dubbio si può definire l’album più ambizioso della loro carriera, il quarto. Fondati nel 1994 dal tastierista Oliver Rebhan, i Martigan si sono dedicati fin dai loro esordi ad un progressive fortemente debitore della scuola inglese degli anni ’80, intendendo con ciò una proposta grintosa, giocata su riff di chitarra, arabeschi di synth e organo ed un cantato aggressivo e teatrale (Fish docet).
Il salto di qualità compiuto con questo nuovo lavoro, dalla durata che sfiora i fatidici 80 minuti (anni fa sarebbe stato ovviamente un doppio album…) riguarda diversi aspetti, che vanno dall’ottima qualità di registrazione ad uno sforzo evidente in fase compositiva, che porta a risultati eccelsi soprattutto nei brani di ampio respiro. La suite posta in apertura, i 23 minuti di “Boatman’s vision”, è un tour de force che malgrado la portata epica scorre via in modo fluido, puntando su sonorità liquide e idee melodiche che entrano in testa già al primo ascolto; si tratta di new-prog di quello classico e puro, di quello già dato per finito 20 anni orsono, ma che in casi come questo dimostra di essere un genere che - abbinato ad un songwriting solido e ad un’interpretazione convincente - riafferma una sua meritata dignità. La voce di Kai Marckwordt (anche autore delle liriche) punta sulle sfumature di un’interpretazione piuttosto enfatica e ciò, abbinato ad un timbro non scevro da similitudini con Gabriel e i suoi discepoli, può risultare un elemento un po’ indigesto; personalmente trovo la sua performance convincente ed adatta al materiale sonoro. Le timbriche scelte per chitarra e tastiere fanno certamente ricondurre gli arrangiamenti più all’epoca di “The Sentinel” e “Fugazi” che agli anni ’70 (gli arpeggi con l’effetto “chorus” ne sono un esempio), nonostante un esteso utilizzo dell’organo da parte di Rebhan; anzi, posso sbilanciarmi ed affermare che questo abbinamento tra antico e moderno li accomuna agli IQ odierni, ossia quelli del dopo-“Ever”, con i quali condividono anche l’inclinazione al lirismo contrapposto al mero sfoggio tecnico. Ineccepibile infine la sezione ritmica, con il batterista Alex Bisch a volte incontenibile nei suoi fills che contribuisce a rendere agile e dinamico il risultato.
La parte centrale dell’album contiene brani relativamente più brevi che si muovono su coordinate simili ma forse meno accattivanti (nonostante il chitarrista Björn Bisch trovi spazio per apprezzabili solismi di scuola Rothery) e a volte un po’ statici e sempliciotti (“Craze this town”) o troppo dipendenti dal carisma del vocalist (“Red & green”); si rischia di giungere all’epica chiusura con il fiato ormai un po’ corto, ed è un peccato perché la romantica “The contract”, con le sue atmosfere nostalgiche in bilico tra Pallas e Pendragon “edizione vintage”, pur essendo più soffusa e lineare della prima suite, chiude in bellezza un disco che forse avrebbe tratto giovamento da qualche “taglio”.
Se il vostro gusto musicale vi porta ad ignorare il lavoro delle band citate (o anche gli Yes di “Drama”), questo lavoro potrebbe lasciarvi indifferenti; al contrario, se il vostro cuore è ancora sensibile al fascino di giullari, sentinelle e giostre magiche… allora fatelo vostro, perché nel suo genere è molto superiore alla media, prova che spesso l’attesa ripaga molto bene.

 

Mauro Ranchicchio

Collegamenti ad altre recensioni

MARTIGAN Man of the moment 2002 
MARTIGAN Distant monsters 2015 

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