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TAN ZERO We can’t imagine Hiara Records 1987 (Musea Parallèle 2009) ITA

Interessante riscoperta da parte della Musea Parallele di un album caduto nel dimenticatoio: “We can’t imagine” dei Tan Zero. Si tratta di una band italiana formata da Alex Lunati (voce e tastiere), Lor Lunati (batteria), Carlo Giugni (chitarra) e Daniele Gozzi (basso), attiva negli eighties, che arrivò alla pubblicazione di questo lavoro nel 1987 ed ottenne un certo riscontro, al punto di diventare la colonna sonora del film “L’imperatore di Roma”, di Nico D’Alessandria. Dopo numerose esperienze dal vivo, in cui era presente anche il mimo Giulio Rizzi, la registrazione di alcuni demo per un secondo disco mai uscito e persino la partecipazione alla trasmissione “D.O.C.” di Renzo Arbore, il gruppo si sciolse all’inizio della decade successiva. Dal 2001 ad oggi, tra reunion live, l’apertura del MySpace e questa ristampa si è ritornato a parlare della band. Ma veniamo alla musica e al cd oggetto di recensione, che è aperto da una nuova versione della title-track, registrata nel 2008 e che mostra subito la proposta della band: un sound compatto, chiaramente anni ’80, in cui c’è un’inebriante unione di pop, progressive e new wave. Poi si passa all’album vero e proprio che contiene una serie di canzoni concise, ma elaborate, tra refrain che colpiscono, distorsioni chitarristiche, ritmi diretti, tastiere che stemperano i toni e aperture melodiche di buona fattura. Un disco “anomalo” nel panorama progressive, in cui si ravvisano certi echi di quegli anni (Twelfth Night in primis), ma senza esasperare elementi e sapori nostalgici del decennio precedente; anzi, si ravvisa la capacità di mantenersi abbastanza atipici e di interagire con certe tendenze del momento che la band stava vivendo (inevitabile pensare anche ad alcuni dei capisaldi della new-wave, tra Ultravox, Cure e Sisters of Mercy). Il disco scorre bene, ogni brano è ben costruito e viene a galla la verve dei musicisti e la loro voglia di sperimentare soluzioni non convenzionali e di mantenere contemporaneamente sempre un certo feeling. Il cd è completato da una marea di bonus tracks (tanto è vero che raggiunge la durata di ben settanta minuti); fondamentalmente si tratta di brani live e demo risalenti sempre agli anni ’80, in cui, a volte, si palesa persino qualche bizzarria appiana. Anche questi interessanti documenti inediti, quindi, ben testimoniano le qualità della band. Davvero un piacevole ripescaggio questo tassello caduto nell’oblio e appartenente ad uno dei periodi più difficili del progressive. Fatte le debite proporzioni, potremmo parlare dei Twelfth Night italiani.



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Peppe Di Spirito

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