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MIRIODOR Avanti! Cuneiform Records 2009 CAN

Musica che vola alta, nelle intenzioni, nelle forme e, ovviamente, nei risultati. La musica dei canadesi Miriodor è lampante esempio di come si possa fare cultura con le note. Dotati di personalità e capacità tecniche come pochi degli ultimi decenni, i Miriodor nutrono la loro parca discografia con questo settimo album in quasi trent’anni di carriera e diciamo subito che l’opera si attesta tra le cose migliori fin ora prodotte e che pur mantenendo le strutture tipiche della band, lasciano avvertire alcuni cambiamenti e alcuni inserimenti di sonorità nuove.
Le fondamenta jazz della proposta Miriodor sono completate da strutture di chiaro carattere Canterbury, ma non mancano auree finiture dal caratteristico sapore RIO, dalla versatilità zappiana, dalla complessità strutturale dei Gentle Giant e dei King Crimson, dalle labirintiche tesi espressive degli Univers Zero, da groove più serrati e lontanamente imparentati con il rock e da drappi di tenebra che si attorcigliano in modo oscuro, minimale e, talvolta, maligno. Gli sviluppi sono così preziosi e naturali da mutare questa eterogenea amalgama, in uno svolazzo da bella scrittura ottocentesca.
Per l’occasione la band si presenta in quartetto, nella stessa formazione delle ultime uscite (Falaise/Globensky/Leclerc/Masino) più tre preparatissimi e tecnicissimi ospiti ai fiati. Avendo ognuno dei quattro, grandi valenze di polistrumentisti, gli excursus sonori sono ricchi, persino nei momenti maggiormente minimalisti il suono è corposo ed è in grado di riempire anima e mente con veri strati sonori, la cui lettura avviene come in una sorta di cinescopio, di lanterna magica, dove si susseguono immagini in un carosello a tema. E, in effetti, la modalità è proprio, facendo un parallelismo con l’arte delle immagini, quella di avere un plot e una serie di subplot, che si intersecano su livelli di flashback e flashforward, per arrivare ad una visione comunque scorrevole e con trama a lieto fine. Lieto fine rappresentato, ovviamente, dalla gran goduria di ascolto.
Un po’ di esempi: la sublime partitura di “La Roche” con i suoi nove minuti di trame che sanno di racconti d’avventura, di incursioni piratesche, di velocità da cappa e spada e che hanno apice sonoro in un due momenti chitarristici di pochi secondi, ma in grado di riassumere e decodificare il senso di intelligenza che la band sa trasmettere. L’Opener “Envoutement” con i suoi alternarsi di pieni e vuoti, di trame dalle forme volutamente contorte, dominate da chitarre quasi angoscianti e da suoni inizialmente sintetici, che però sanno sfociare in sublimi momenti canterburyani dall’immenso respiro positivo. “A Determiner”, più avanguardistica in senso largo, grazie ai suoi momenti RIO e alla sua propensione per certo jazz di provenienza americana (zappiana?). Concludo citando anche il carosello di colori e sfumature della title track, dove convergono i più svariati aspetti del prog, come in una grande piramide dalle cento facce convergenti in un’unica cuspide, che brilla della genialità dell’operato Miriodor.
Sicuramente tra le migliori cose del 2009 e che nessuno smentisca.


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Roberto Vanali

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