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LALLE LARSSON'S WEAVEWORLD Lalle Larsson's weaveworld Reingold Records 2009 SVE

Lalle Larsson, compositore e virtuoso delle tastiere, sarà sicuramente noto agli appassionati del nostro genere per aver suonato con i Karmakanik, progetto parallelo dei Flower Kings ideato dal bassista Jonas Reingold. In realtà Lalle, il cui stile spigliato ed aggressivo non passa sicuramente inosservato, ha lavorato a tantissimi progetti e composto una discreta mole di materiale abbastanza eterogeneo. Principalmente la sua anima vaga fra i sentieri della fusion, quelli del rock e della musica classica e le sue dita affusolate oscillano velocemente e con estrema disinvoltura fra scale temperate e scale jazz, mettendo in evidenza, anche nell'arco di una stessa composizione, le diverse sfumature del suo carattere. Fra le cose più belle che questo artista abbia realizzato ricordo l'opera ispirata ai sette peccati capitali "The seven deadly pieces", un concerto in sette movimenti per orchestra da camera e thrash metal band, pubblicato su DVD nel 2009. Questo nuovo progetto invece si basa sulle prodezze musicali di un quintetto che comprende, oltre a Lalle, che ne rappresenta la colonna portante, Stefan Rosquist (The Guitar Diaries) e Richard Hallebeek (One Spirit, RHP) alla chitarra, Jonas Reingold al basso e Mickael Wahlgren alla batteria. L'album consta di cinque pezzi, per una durata complessiva di 46 minuti, che culminano con i 15 minuti della traccia di chiusura "Weaveworld". Lo stile, come dicevamo, è abbastanza eclettico e solo in minima parte può ricordare qualcosa dei Karmakanic, soprattutto quando si cerca di mescolare soluzioni fusion a impasti pesanti a tinte metal. Le trame principali delle composizioni sono fornite dalle linee di piano, che viene suonato a volte indugiando su melodie crepuscolari, a volte in maniera martellante ma sempre con un approccio virtuosistico. Lalle non ha uno stile eccessivamente appariscente e la sua esecuzione è sempre impeccabile, incredibilmente pulita e fluida. I suoni stessi di questo album sono affilati e qualche volta quasi artificiali, come se fossero frutto di una mente spietata più che di un musicista ispirato. La traccia di apertura, "Marionette", è, assieme alla successiva "Dance of the Dead", quella più aggressiva del lotto. Viene messo subito in evidenza il contrasto fra i riff di chitarra, robusti e graffianti, e le suadenti evoluzioni del piano, gotico ed elegante che di tanto in tanto sfocia in colte aperture jazz, mentre in altri momenti dialoga con la chitarra solista. La già citata traccia successiva è ancora più tenebrosa e claustrofobica e presenta un'impronta metal ancora più decisa. Le due tracce successive ci portano su territori più romantici, con una malinconica "Newborn Awakening", una ballad soft fusion rilassata con linee melodiche piacevoli e distese, disegnate come sempre da piano e chitarra. "Adagio" è una delicatissima ed elegante rivisitazione della celebre composizione di Albinoni, interpretata dal solo piano con leggero tocco jazzy. Nell'ultima e lunga traccia vengono a confluire tutte le sfaccettature di questo progetto, quelle più romantiche e quelle più aggressive, con un giusto equilibrio fra i vari momenti. Troviamo quindi un intreccio fra melodie sognanti, qualche barocchismo ed aperture jazz. Il giudizio globale è positivo ed un pregio di questo album è senza dubbio la sua fruibilità, l'esaltazione delle sequenze melodiche che non vengono sacrificate sull'altare di un virtuosismo fine a sé stesso. D'altro canto le contaminazioni jazz non sono mai esasperate e in generale la struttura dei pezzi è sempre abbastanza lineare, con melodie che a volte possono persino ricordare qualcosa dei Flower Kings. Tutto questo rende questo album appetibile soprattutto verso chi non ha dimestichezza con la musica colta e che parte da radici metal o prog melodiche, fornendo così l'occasione ad un pubblico meno esperto di aprirsi verso frontiere nuove. Ecco, diciamolo infine, questo è un disco accessibile e godibile, anche se pur sempre abbastanza complesso. Magari l'artista avrebbe potuto amalgamare di più tutti gli ingredienti, fornendo un prodotto più omogeneo e meno frammentario nello scorrere delle diverse tracce. Considerando anche la durata non eccessiva, forse uno sviluppo maggiore dei pezzi proposti sarebbe stato auspicabile. Per chi ama cose più sperimentali il consiglio è quello di accaparrarsi invece "The seven deadly pieces", un'opera a mio giudizio di tutt'altro spessore.



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Jessica Attene

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