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RAYBURN Rayburn Psych of the South 2009 USA

Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine, mi viene da pensare leggendo la storia di questa band, una storia in cui finalmente, dopo anni, la musica trionfa e rende giustizia agli eventi avversi del passato. I Rayburn nacquero nella città di Little Rock in Arkansas, nel 1970 e grazie al loro talento riuscirono ad ottenere un contratto per la Mega Records, una sussidiaria della RCA, che stava cercando un gruppo per fare breccia nel mercato della musica rock. Il loro successo fu comunque stroncato dal padre del tastierista Steve Stephens (B3, piano, Moog), proprietario di una grossa banca, che comprò i diritti dell’album per bloccare la carriera musicale del figlio. Nel 1974 il chitarrista Jimmy Roberts morì di cancro a soli 21 anni e così le sorti del gruppo diventano sempre più incerte. Per la prima volta dopo 30 anni i Rayburn si sono riuniti nuovamente nel 2009, con l’aiuto dei propri figli e per l’occasione hanno rispolverato i vecchi demo con canzoni che vanno dal 1970 al 1977, pubblicandoli in questo CD. Le tracce qui contenute sono 14, per una durata di circa 1 ora e sono presenti ben tre versioni del pezzo di apertura “Your Mind (Doubt)”. La qualità sonora e musicale non è omogenea ed è migliore nelle prime 6 tracce. Purtroppo chi ha compilato la scaletta di questo CD non si è premurato di specificare la provenienza delle singole canzoni. Possiamo intuire che i primi pezzi, che sono anche quelli più interessanti, siano anche i più datati. La musica è un potente e graffiante hard prog psichedelico, dominato da un organo Hammond propulsivo e con uno spirito southern che emerge in più punti. Proprio la traccia di apertura, la già citata “Your Mind (Doubt)”, appare essere il pezzo di punta: è potente e dinamica e sfoggia riferimenti ad Iron Butterfly e Deep Purple. La successiva “Got to Get Ready to Die” è più acida e presenta similitudini più marcate con gli Allman Brothers, anche se gli impasti sono più marcatamente psichedelici. “Steam Shuffle” si mette in evidenza per le interazioni fra chitarra e organo con un feeling che ricalca molto quello dei Deep Purple di “Made in Japan”. Possiamo immaginare una band giovane e di talento che scarica la propria energia con gli strumenti, dosando tecnica ed istinto. “Said I Love You” è la traccia più lunga ed i suoi 8 minuti si configurano come una malinconica ballad psichedelica. Il cantato è piacevole e ruvido ma non vi so dire chi sia il solista, visto che tutti e 4 i membri della band sono accreditati come cantanti. Nella seconda parte del CD il repertorio si alleggerisce un po’ ma mostra comunque uno stretto legame stilistico con i primi pezzi. Tracce come “America” appaiono piuttosto grossolane, nonostante le buone intuizioni compositive, ma inserite in questo contesto antologico contribuiscono a darci una visione completa del gruppo. Le composizioni più recenti in generale presentano un’architettura più complessa e più influenzata dal prog britannico, ma appaiono, come appena detto, abbastanza grezze, rappresentando un buon canovaccio su cui lavorare più che un prodotto finito. Gli amanti dei suoni hard e psichedelici imbevuti di Hammond troveranno interessante questo viaggio indietro nel tempo e riusciranno sicuramente ad immedesimarsi nella sfortunata storia del gruppo, descritta nei dettagli nel booklet.



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Jessica Attene

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