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ELOY Visionary Laser's Edge 2009 GER

Primavera 1984. Gita scolastica di Terza media. Da qualche giorno un compagno di classe mi aveva prestato una musicassetta “strana” del fratello maggiore. “Sentila” mi disse ”tu che sei fissato con i Pink Floyd”. Dopo aver provato inutilmente a convincere l’autista (e i miei compagni!!!) a passarla nello stereo del pullman, decido di sentirmela in cuffia. Ero musicalmente abituato bene e la complessità non mi turbava più di tanto, tantomeno brani di 10/15 minuti…
Decisi di partire proprio dal brano più lungo “Atlantis agony”. Così conobbi gli Eloy e quello che a distanza di più di 25 anni considero ancora come la loro vetta creativa “Ocean” (negli anni gli ho avvicinato “Silent cries and mighty echoes”). Non mi sono mai pentito delle scelte di allora e raramente sono stato per un lungo periodo senza ascoltare qualche loro lavoro. Negli anni la loro attività si è ovviamente diradata e numerosi sono stati i fisiologici cambi di formazione. Due i comuni denominatori : una produzione, negli ultimi 15 anni, poco numerosa ma comunque sempre più che dignitosa e Frank Bornemann, chitarrista (non un caposcuola,ma dallo stile inconfondibile),voce e leader da sempre del gruppo tedesco.
Ecco che a distanza di 12 anni dal precedente “Ocean 2 the answer”, esce questo “Visionary”. Oltre a Bornemann, sono della partita il bassista storico Klaus Peter Matziol, il batterista Bodo Schopf (al secondo album con la band), Michael Gerlach alle tastiere (anche lui da parecchi anni collaboratore di Frank) e l’altro tastierista Hannes Folbert (quest’ultimo “figliol prodigo” per aver fatto parte della band negli anni ’80).
Cosa aspettarci da un album degli Eloy, oggi? Molto banalmente: un lavoro “alla Eloy”! Con i suoi pregi e i suoi difetti. Un album onesto, di gusto, ricco del loro sound inconfondibile. E questo è “Visionary”. I suoni dilatati, le atmosfere “spaziali”, i cori angelici femminili, le sciabolate della chitarra di Bornemann la pulizia del suono, l’hard rock intriso di melodia, le tastiere “space”. Non manca nulla. E’ persino superfluo citare qualche brano. Troverete qui ciò che di bello avete ascoltato in “Time to turn” oppure in “Silent cries…”, in “The tides returns forever” oppure in “Dawn”.
Un limite? Può darsi. Ma dal gruppo tedesco non ci aspettiamo nulla di diverso. Solo aver la possibilità di cullarci e vagare nell’universo con i loro suoni e i loro colori.
Piacevole.


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Valentino Butti

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