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MINSTREL Ahab AMS/Vinyl Magic 2009 ITA

Dopo un demo ed un esordio che non hanno avuto il seguito sperato, i Minstrel sfornano un nuovo lavoro che ha tutte le carte in regola per ottenere riscontri migliori. Come il titolo lascia presagire, “Ahab” è un concept-album ispirato a “Moby Dick”, celebre capolavoro letterario di Herman Melville. E’ un progressive aggressivo e teatrale quello proposto dai Minstrel, che in dieci brani ci mettono tanta energia con la chitarra infuocata di Michele Savoldelli dai timbri prettamente hard e ritmi molto robusti dettati dal batterista Giampaolo Pasini e dal bassista Alberto Rigoni. Ma a completare il quadro musicale e a distanziare la band da una qualsiasi proposta di “semplice” heavy-rock c’è il vocalist Mauro Ghilardini che con il suo canto potente e lirico dona un tratto distintivo molto particolare. Quest’ultima caratteristica, complice anche la struttura dell’album con la narrazione di una storia, accentua molto il lato più magniloquente con cui si propongono i Minstrel. In circa un’ora di musica, quindi, veniamo travolti da questa ondata sonora che potrebbe essere inquadrata come un originale prog-metal. Nulla a che vedere con i Dream Theater, come capita con quasi tutti i gruppi che si cimentano nel genere (magari solo brevi cenni qua e là…); stavolta siamo al cospetto di un qualcosa di più indefinito. Non si punta tanto sulla spettacolarità e sui virtuosismi (anche se le capacità tecniche sono evidenti), ma su sonorità granitiche e tese, che di tanto in tanto si concedono della pause con aperture melodiche dettate da un elegante piano, spunti da opera-rock (avvertibili soprattutto in “Alba”) o con passaggi quieti e vagamente floydiani per creare un’atmosfera incantata. Le cose migliori vengono fuori con i due brani più lunghi: la strumentale “Oceano”, di quasi otto minuti che inizia in maniera romantica, ma che pure presenta cambi di tempo, spunti energici e attimi di pathos e mistero, e “Morte”, che chiude il cd nel migliore dei modi con dodici minuti ricchi di invenzioni, sempre vigorosi, ma anche carichi di malinconia. Non esente da difetti (questo approccio molto teatrale ed enfatico può risultare un po’ fastidioso), “Ahab” è comunque un ottimo album che ci mostra una band personale e professionale, che può dire la sua nell’attuale panorama del prog italiano e che può raccogliere proseliti tra coloro che prediligono un sound duro abbinato ad elementi classicheggianti. Menzione obbligatoria per l’artwork che è assolutamente meraviglioso, con vinyl replica apribile, un miniposter della copertina, testi in italiano e in inglese e tanti fantastici disegni ad opera di Vittorio Giudici.


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Peppe Di Spirito

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