Home
 
CONTRALUZ Novus orbis autoprod. 2011 ARG

Esponenti storici della feconda scena progressiva argentina, i Contraluz restano nondimeno un nome piuttosto oscuro per chi non si sia mai avventurato a curiosare nel sottobosco ai piedi di maestosi alberi come Espiritu, M.I.A. o Sui Géneris. Ciò si spiega con il fatto che nonostante la band di Buenos Aires possa vantare radici piantate negli ultimi scorci degli anni ’60, occorre attendere il nuovo secolo per vedere finalmente pubblicato un seguito alla loro opera prima, a causa di molteplici problemi di natura non solo musicale. Dopo aver ottenuto un ottimo riscontro di pubblico e critica al prestigioso festival “BA Rock” ospitato nel Velódromo Municipal della capitale porteña, i Contraluz pubblicano nel 1973 “Americanos”, un disco fortemente debitore sia dello hard rock tanto in voga all’epoca che dei Jethro Tull - gruppo del resto omaggiato nelle esibizioni live dal flautista Alejandro Barzi - e caratterizzato dalla distintiva voce di Alvaro Cañada. Purtroppo, malgrado il promettente contratto con la EMI/Harvest ed un singolo concepito come apripista per il secondo album, la band subisce la mannaia della censura (il tristemente noto COMFER, che anni dopo diverrà strumento di manipolazione della giunta militare) che costringe il ritiro dal commercio di un disco evidentemente ritenuto eversivo. Con un’opera incompiuta abbandonata sui nastri e la disgregazione del nucleo originale, alla fine del 1974 i Contraluz cessano di esistere.
Alla fine degli anni ’90, il chitarrista Carlos Barrio riunisce i suoi vecchi compagni: suo fratello e batterista Néstor Barrio e il bassista Freddy Prochnik, con l’intenzione di riprendere il discorso forzatamente interrotto; il progetto si concretizza con l’arruolamento del cantante e tastierista Jaime Fernandez Madero.
Dischi come “El pasaje” (2000) e “Ramos Generales” (2003) registrati dalla nuova formazione, ci propongono una band che abbandonate le prerogative Hardeggianti trova una sua dimensione ottimale in un progressive dal sapore misuratamente sinfonico e fortemente intriso di sapori provenienti dal folclore del Continente Sudamericano.
Ed arriviamo ai nostri giorni. registrato nel corso di due anni tra il 2008 e il 2010, “Novus orbis” prosegue senza scossoni sulla scia dei predecessori, proponendo un rock progressivo influenzato da generi musicali autoctoni sudamericani come il carnavalito, danza originaria dell’altopiano boliviano, fino a forme proprie della regione del Río de la Plata come la milonga e il tango.Annoveriamo così brani trascinanti come “La manopillación del censor”, basata su un riff tastieristico molto barocco, e arricchita dagli interventi di sax dell’ospite Alberto Sassoon, che finiscono per assomigliare al nostro Trono dei Ricordi; le percussioni sono sempre presenti, la chitarra è impiegata con parsimonia ed il flauto (suonato da Carlos) è oggi sempre protagonista ma meno Tulliano e più melodico.
Più frequenti i momenti riflessivi come “Cajita de música”, brano semiacustico con delicate sottolineature di tastiere e chitarre carezzevoli, autentico omaggio ai Genesis (il titolo si tradurrebbe “Musical Box” in inglese) con tanto di citazioni ed invocazione al “vecchio King Cole” che poi si estende ad una dichiarazione d’amore verso il progressive rock tutto; qui l’interpretazione di Jaime è sincera ed agrodolce nel rievocare le sensazioni provate dai primi ascolti con il vecchio giradischi e nel constatare l’incomprensione che limita la popolarità del “nostro” genere musicale.

E’ su “Lléname de sol” ed “El día después” che fa capolino l’influenza folk dei Contraluz, che incorporano i secchi accordi del charango (una piccola chitarra andina a dieci corde originariamente costruita con la corazza dell’armadillo) e il cadenzato ritmo del bombo legüero (un tamburo proveniente dal folclore delle regioni montuose del nord-ovest dell’Argentina), brani collocabili nel genere contaminato di cui fecero la propria bandiera gruppi come i cileni Los Jaivas; a far da contraltare, l’atmosfera nostalgica tipicamente platense di “¿Decime papá por qué” sprigionata dalla chitarra acustica e dal bandoneón, strumento utilizzato anche in quella “Hijos de America” che riassume musicalmente l’intero lavoro.
Ricapitolando, mi sento di consigliare l’acquisto di questo lavoro a chi sa apprezzare ed assaporare una proposta che rispetta appieno i canoni tipici del prog sudamericano, la sua sincerità, le melodie nostalgiche, la positività di fondo, la padronanza degli strumenti mai ostentata e non ultime - per chi ha la fortuna di comprendere la lingua - liriche evocative e mai banali.


Bookmark and Share

 

Mauro Ranchicchio

Collegamenti ad altre recensioni

CONTRALUZ Ramos generales 2003 

Italian
English