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CAMEMBERT Schnörgl attahk AltrOck 2011 FRA

Che il Camembert fosse un formaggio elettrico già si sapeva… che poi esistessero addirittura delle astronavi fatte di Camembert non lo immaginavo proprio… e nel mondo del Prog se ne sono viste di cose strane… In questo album si parla di piccoli e terribili esseri gelatinosi che, guidati da un professore malvagio che sperimenta armi distruttive, invadono il nostro pianeta, di una nave spaziale a foggia di formaggio che entra nell’orbita terrestre e rapisce strane creature, fra cui anche un cammello verde, e di altre stramberie. Il significato e lo scopo di tutto questo non lo so e non voglio indagare ma la cosa certa è che i Camembert sono finalmente tornati, a distanza di due anni dall’EP di assaggio intitolato “Clacosmique” (a suo tempo positivamente segnalato su queste pagine). E proprio da qui si riparte per la realizzazione di questa opera prima su lunga distanza: questo nuovo lavoro, oltre a svilupparne in maniera approfondita il concept, prima appena abbozzato, prende in prestito alcuni pezzi già editi del vecchio EP che sono stati nuovamente registrati e in qualche caso, come nella traccia “El Ruotuav ed sram” (che non è altro che la nuova versione di “Le vautour de Mars”), pesantemente rimaneggiate e riarrangiate. Il vecchio EP rappresenta insomma la perfetta anticamera per questo nuovo lavoro che contiene, è bene precisarlo, anche abbondante materiale di nuova fattura.
Fra formaggi e cammelli, avrete intuito che il sound di Canterbury c’entra qualche cosa e in effetti è così, anche se sono stati aggiunti diversi condimenti, come qualche tocco Zappiano e qualche stravaganza R.I.O. Uno degli aspetti più interessanti di questa band, come ho già avuto l’occasione di spiegare in passato, riguarda il suo assetto strumentale, con l’arpa di Guillaume Gravelin spesso usata come strumento solista, suonata a volte con un tocco jazz e altre volte con un vago appeal folk, lo xylofono (o meglio lo xybrafono) di Fabrice Toussaint, vibrante ed instancabile, ed una serie di fiati molto calda ed avvolgente con la tromba di Bertrand Eber, il trombone tenore dello stesso Toussaint ed il trombone basso e la tuba di Julien Travelletti. L’insieme musicale che ne deriva è assolutamente particolare ed accattivante, con la coesistenza di suoni martellanti e dinamici che fluttuano con i loro mille riflessi su un mare di suoni caldi ed imponenti. Troviamo sequenze agili, a volte scherzose, ma anche forti rallentamenti in cui tutto si appesantisce e persino momenti di pura poesia, come la splendida “Clacos 1: notre mère à tous”. Un rinforzo elettrico è fornito dalla chitarra di Vincent Sexauer e anche da quella di Francesco Zago degli Yugen, ospite nella traccia “Untung untungang 2.0”.
A dispetto della scherzosità del concept, la musica è composta, suonata e prodotta in maniera estremamente rigorosa e professionale, senza la minima sbavatura, dall’inizio alla fine per tutti i 51 minuti di durata. Fra le forme musicali che vi si intravedono troviamo sia elementi di musica contemporanea (e penso a Hindemith o Stravinsky) che richiami alle big band jazz e, come accennato, sprazzi di folk, R.I.O. e Canterbury in un insieme musicale senza confini e dalle connotazioni universali. A sostegno di tutto questo c’è ovviamente una brillante base ritmica fornita dalla batteria di Philèmon Walter e dal basso di Pierre Wawrzyniak, capaci di ammortizzare e sorreggere qualsiasi cambiamento di umore della musica. A parte qualche sporadico vocalizzo dei terribili esserini gelatinosi o schnörgl che dir si voglia, l’opera è completamente strumentale ma questo non toglie però immaginazione ad una musica che si addice perfettamente al matto concept pensato dai Camembert che non mancano di certo di inventiva. La complessità dell’opera aumenta al progredire dell’ascolto e via via si diluiscono le ambientazioni orchestrali, partendo da una Canterburyana “Untung Urang 2.0” fino ad arrivare alla nervosa suite conclusiva, “La danse du chaumeau”, divisa in cinque brevi movimenti, in cui si intravede lo spettro degli Henry Cow.
Avendo ascoltato due anni fa “Clacosmique” con molto entusiasmo, non potevo immaginare una evoluzione musicale migliore di questa che mi sembra rappresenti alla perfezione lo spirito di questa band, direi cresciuta e maturata tantissimo. Un album senza dubbio di cui ricordarsi quando si faranno i bilanci di fine anno.


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Jessica Attene

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