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SEBASTIAN HARDIE Blueprint autoprod. 2011 AUS

Molti di noi ricordano con affetto i Sebastian Hardie per averci regalato, nel 1975 e nel 1976, due album considerati dei classici del Progressive Rock sinfonico, e mi riferisco soprattutto al primo di questi, “Four Moments”, opera ricca di melodie solari, di quelle che finiscono col rimanere legate ai momenti magici ed indimenticabili della vita per la loro carica positiva e per la loro capacità di rimanere impresse nella memoria. Dopo un disco a nome “Windchase” (che è anche il titolo del secondo album) con il 50% della formazione originaria, la band ha lasciato perdere le sue tracce per poi incontrarsi nuovamente tutta unita al Progfest di Los Angeles nel 1994 (la registrazione di questo concerto si trova nell’album “Live in LA”). A questo evento sono seguiti altri concerti nel 2003 e la carica acquisita durante queste serate alla fine si è trasformata in energia creativa per la realizzazione di un nuovo album in studio.
E alla fine eccolo qui, il terzo album dei Sebastian Hardie, comprato con molto entusiasmo (ma anche con un pizzico di timore), a scatola chiusa non appena ne è stato dato l’annuncio. La band è qui al completo con Mario Millo (l’unico che ha continuato a pubblicare album dopo lo scioglimento del gruppo madre) alla chitarra e alla voce, Alex Plavsic alla batteria, Toivo Pilt alle tastiere e Peter Plavsic al basso. Non rimane quindi che mettere il dischetto (appena quaranta minuti suddivisi in sei tracce) nel lettore e togliersi questo dubbio. Fermo restando che quanto di bello è stato fatto in passato qui non lo ritroviamo che a tratti, diciamo subito che il risultato finale è quantomeno piacevole e dignitoso e, visto il lungo periodo di inattività, non era ragionevolmente lecito aspettarsi di meglio.
Qualche punta sopra la media, che va oltre quella patina di piacevolezza, la possiamo comunque qua e là percepire, come nella lunga “Vuja de”, con i suoi otto minuti, unico pezzo alla cui stesura hanno collaborato tutti, o come anche “Another String”, scritta in coppia da Millo e Alex Plavsic, che presenta belle dinamiche strumentali. Anche la traccia di apertura, “I Wish”, scritta sempre dalla coppia Millo/Plavsic, ha i suoi bei momenti, nonostante qualche impronta bluesy forse un po’ banale, soprattutto nelle parti cantate. La mano principale, come è ovvio, è pur sempre e comunque quella di Mario Millo che ha impresso praticamente a tutte le composizioni il suo sigillo sonoro, soprattutto per quel che riguarda le melodie, dal sapore Cameliano che tanto ricordano le sue produzioni solistiche, anche se in questo contesto le sue canzoni appaiono meno melense e più di sostanza. Tracce come “Art of Life”, “I Remember” o “Shame” presentano una veste più tendente al pop, appiattendosi decisamente soprattutto nelle parti cantate, molto fluide e piacevoli ma anche abbastanza anonime. I momenti migliori sono quelli in cui la band si abbandona nelle sequenze strumentali, con belle parti di chitarra, davvero eleganti e pulite, e tastiere vintage che ricordano il passato: tutto sommato questo può bastare a far raggiungere a questo album una abbondante sufficienza.
Se amate i Sebastian Hardie, questo disco sarà per voi più che ascoltabile e diciamo che nonostante tutto è bello ritrovare dei vecchi amici e omaggiarli con l’acquisto del loro nuovo album, specie se percepiamo che si tratta di un ritorno sincero ed intellettualmente onesto, fatto sotto la spinta della passione e non del profitto.


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Jessica Attene

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