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AUTUMN MOONLIGHT The sky over your shoulders Viajero Inmovil 2010 ARG

Già il nome del gruppo e la copertina sono un bell’indizio. Fanno pensare al romanticismo e fanno intuire che non siamo di fronte ad una banda di allegroni. Ed infatti, fin dalle prime note, quest’album si rivela un concentrato di malinconia su una base sonora che prova ad unire prog sinfonico e post-rock. Gli Autumn Moonlight sono un duo proveniente dall’Argentina, formato da Mariano Spadafora e Tomas Barrionuevo che realizzano questo bel debutto discografico nel 2010. Otto i brani proposti, tutti strumentali, tutti a formare un lavoro molto omogeneo per atmosfere, caratteristiche dei brani e timbriche utilizzate. Se l’iniziale “Autumn Moonlight” si basa molto su incroci chitarristici, mostrando subito questo “ponte” che vuole essere gettato tra progressive e post-rock, per merito di influenze crimsoniane e insegnamenti dei Godspeed! You Black Emperor, la successiva “Dawn of Atlantis” accentua la vena malinconica, con un sound leggermente più sommesso, in cui il piano e il delicato guitar-playing creano uno sfondo molto suggestivo. E in questa eleganza di base si stagliano poi improvvise sfuriate della sei corde elettrica, che si mostra a volte nervosa, a volte sognante. Non poteva mancare qualche cenno ai Sigur Ros, quelli più classicheggianti con “Letters to God”, con tastiere maestose in bella evidenza, e quelli più elegiaci con “T.O.R.”, che parte dolcemente con pianoforte e chitarra acustica protagonisti, ma che vede poi un fantastico crescendo solenne. Sorprende, invece, l’aggressività di “The outsider”, un prog-metal accostabile ai classici Dream Theater, ma resta un episodio isolato nel disco. Negli ultimi tre brani, “Lost paradise”, “The sky over your shoulders” e “Autumn moonlight part II” si rivedono in pieno quelle caratteristiche prog-post-rock cui abbiamo già fatto cenno, mantenendo delicati equilibri dinamici, con affascinanti impasti e alternanze elettroacustiche e la malinconia di fondo sempre ben presente. L’apparato ritmico svolge un lavoro concreto, senza spingersi in tecnicismi o in passaggi mirabolanti, ma puntando a mantenere vivo il pathos trasmesso dai brani e pronto sempre a cambiamenti di tempo. Lavoro bello e coinvolgente, non eccessivamente lungo (meno di cinquanta minuti) e quindi per nulla pesante nonostante sia interamente strumentale, ricercato al punto giusto, evidenzia le buone idee del duo argentino che può essere così annoverato tra le promesse più interessanti del Sud America.


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Peppe Di Spirito

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