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COUNTER-WORLD EXPERIENCE Music for kings autoprod. 2012 GER

Stando a quanto dicono i protagonisti stessi nelle note di presentazione, l’album in questione sarebbe il loro quarto long-playing. Se fate un giro su internet, comunque, salvo equivoci, appurerete che i lavori sono in totale cinque (compreso questo).
Iniziata la carriera nel 2001, fondendo elementi jazz-metal con altri più estremi in stile Meshuggah, a cui venivano poi mischiati spunti a la Pat Metheny ed altri elettronici, il trio berlinese formato da Benjamin Schwenen (chitarre), Sebastian Hoffmann (basso) e Thorsten Harnitz (batteria) ha pian piano portato avanti una proposta capace di raccogliere molti consensi. Grazie probabilmente ad un radicato senso d’appartenenza al mondo del jazz, i musicisti non hanno mai smesso di studiare nuove soluzioni, evitando quindi di fossilizzarsi sui soliti stilemi che accomunano la maggior parte delle prog metal band mondiali, perché di ciò si parla.
“Music for kings” può essere visto sotto l’ottica del concept strumentale, in cui si sviluppa un excursus tra alcune delle più importanti figure dei sovrani che con la loro forte personalità hanno caratterizzato la Storia nel corso dei secoli. La musica dei Counter-World Experience potrebbe somigliare ai Planet X di Derek Sherinian. Un instrumental metal dominato parecchio dall’influenza fusion, quindi, in cui dei controtempi e delle scale di matrice jazz fanno da contraltare a delle trame chitarristiche inusuali per il genere. Certo che “Overture” si apre in maniera totalmente diversa da quanto fin qui esposto, con un organo molto tronfio, e non lascia immaginare quello che seguirà. “Trinity” e “Priamos”, pezzi inequivocabilmente prog metal, vengono intervallati dagli spunti fusion di cui sopra, raggiungendo il massimo del contrasto in “Gilgamesh – King of Uruk”, in cui le ritmiche (fin troppo) pesanti vengono squarciati dai solismi jazz.
Con “David” e “Tiger of Qin” le cose si fanno estremamente interessanti, perché prevale nettamente la struttura jazzistica, ricordando un po’ i lavori di Chris Poland. Una fusion che diventa addirittura epica in “Karl the Great”, dove il basso di Hoffmann è protagonista assoluto prima di lasciare la scena al sempre ottimo Schwenen. L’epicità aumenta nella finale “Beowulf”; compaiono chitarre acustiche che poi fanno posto a degli assoli elettrici parecchio “discorsivi”, che seppure fruibili non si mostrano mai scontati.
Una piacevole realtà questi tedeschi. Ci si augura che la loro evoluzione continui, magari ammorbidendo maggiormente i riff e sviluppando questo ottimo approccio alla fusion “metallica” più complessa.


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Michele Merenda

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