Home
 
CARPATHIA PROJECT Carpathia project (Ángyán és Daczi) Periferic Records 1999 UNG

I Carpathia Project nascono dall’incontro tra il chitarrista metal Zsolt Daczi (Bikini, Tirana Rockers ed Omen) ed il violinista/chitarrista Tamás Ángyán (spesso in tour con star del mondo lirico come Pavarotti, oltre ad essere uno dei violinisti della Neue Philharmonie Westfalen Landesorchester), due virtuosi addentrati in un ampio range musicale che va dalla musica etnica a quella classica, passando per il jazz ed il metal stesso, a cui si sono poi accompagnati altri ottimi musicisti come il bassista Tamas Zsoldos. La musica dei magiari raccoglie quindi tutte queste influenze, andando a ricordare compagini e protagonisti della sfera prog/jazz che hanno fatto ampio uso del violino nella propria musica, come Jean-Luc Ponty, Darrryl Way’s Wolf, i Dixie Dregs o i Mahavisnu Orchestra. Con una proposta di questo tipo, non sembra essere un caso che il gruppo abbia esordito su Periferic Records, label che ha spesso ospitato gruppi originali come, tra i tanti, gli After Crying (e forse a tratti c’è anche qualcosa di loro, in queste tracce). I due artisti sembrano riuscire a coniugare due modi di suonare la chitarra che solo apparentemente potrebbero apparire antitetici: la dura appariscenza dello shredding e la contenuta raffinatezza del jazz tendente alla fusion, come appare nell’iniziale “Caravan”, in “Dance” o “Meridian”, in cui vi sono dei riferimenti anche a Satriani e non si rinuncia ad intraprendere il sentiero sdrucciolevole del jazz-rock.
I momenti più belli sono senza dubbio quelli in cui il violino di Ángyán prende in mano la situazione e dirige le danze, fondendosi sempre perfettamente con gli altri strumenti e donando un tocco folk che conferisce indubbia originalità. È sicuramente il caso di “Carpathia” oppure “War”, mentre pezzi come “Smile” e soprattutto “Friends”, suonati con l’acustica, devono parecchio a “Jet lag”, il celebre album di jazz-rock mediterraneo e contemplativo della nostrana PFM.
C’è poi un brano chitarristicamente divertentissimo come “Fusion”, sempre punzecchiato dalle irriverenze del violino, oltre alla conclusiva “Something of you”, altro pezzo acustico tanto carezzevole quanto poco stucchevole.
Alla fine, grazie anche al batterista Bertalan Hirlemann e agli inserimenti sia tastieristici di Gabor Korvacs che a quelli dei fiati di Dénes Makovics, i Carpathia Project risultano autori di un bell’esordio, capace di incontrare i favori di tutti coloro che apprezzano le coordinate musicali ed i riferimenti sopra citati. Anche chi ama la musica strumentale più eterogenea, toccando gruppi diversi tra loro come Ozric Tentacles, Liquid Tension Experiment e Djam Karet, apprezzerà questi ungheresi. Forse poco più di trentasette minuti può apparire poco, magari alcune parti potevano essere ulteriormente sviluppate, ma come inizio può andar bene così.
Qualcuno, per far comprendere di che musica si tratta, ha fatto il paragone con i connazionali Mindflowers. Forse è vero, ma c’ un unico particolare: quest’ultimi, hanno esordito tre anni più tardi rispetto alla band di Ángyán e Daczi.



Bookmark and Share
 

Michele Merenda

Collegamenti ad altre recensioni

CARPATHIA PROJECT II 2011 

Italian
English