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DRUCKFARBEN Druckfarben autoprod. 2011 CAN

Finalmente un gruppo canadese che non sia del Québec! E bisogna dire che i canadesi quando ci si mettono hanno una marcia in più!! E’ il caso di questa band che si presenta all’appuntamento col suo esordio discografico non lunghissimo, 44 minuti circa in tutto, ma interessante sotto molti punti di vista. Non si tratta di artisti di primo pelo, dal momento che la storia del gruppo inizia addirittura verso la metà degli anni Ottanta quando i giovanissimi Ed Bernard (chitarra, mandolino, voce) e Troy Feener (tastiere) scoprirono nella vecchia fattoria abbandonata che usavano come sala prove alcune botti scure che riportavano la misteriosa scritta “Druckfarben” e decisero così che quello sarebbe stato il nome della loro band. Non lontano Phil Naro (voce), Peter Murray (basso e voce) e William Hare (tastiere) suonavano in altri progetti e andò a finire che tutti e cinque i nostri amici, grandi appassionati di Progressive Rock, divennero musicisti professionisti impegnati in vari ambiti. Il tempo passa e bisogna arrivare fino al 2008 per vedere i Druckfarben in azione come cover band di grandi classici del prog. Giunto a completa maturazione, il gruppo inizia a dedicarsi ad un proprio repertorio nel 2011 raccogliendo finalmente i frutti della grande passione verso quel genere musicale che li aveva fatti avvicinare al mondo della musica ai tempi della scuola.
Tutta la dimestichezza col repertorio di Yes, Genesis, King Crimson e Rush e l’esperienza da navigati musicisti si percepiscono perfettamente in questo album decisamente vintage, con riferimenti chiari ai grandi del genere, incredibilmente mescolati fra loro a creare un impasto denso e sostanzioso. L’album è breve, come ho detto, ma è suonato con tantissima energia, in maniera instancabile, ed è intessuto con nodi strettissimi a formare un arazzo sonoro cangiante e pieno di colori. Il sound è vintage ma con qualche sentore di fine anni Settanta e gli elementi sinfonici sono ampiamente rappresentati, a volte con qualche viraggio fusion. Prendiamo ad esempio la traccia di apertura, “ELPO”, l’incipit mostra scorribande tastieristiche decisamente Emersoniane ma l’incedere ricorda quasi “Larks’ Tongues in Aspic”, almeno fino a quando inizia a farsi strada una chitarra solista fusion suonata con grande virtuosismo. La successiva “Influenza” sembra imparentata allo stesso tempo con “Siberian Khatru” e con “Does it Really Happen?” con un basso decisamente in primo piano che viaggia come un motore spedito e ben oleato con l’organo che compie slalom continui e una performance vocale di Phil decisamente affabile. Le maglie musicali sono fitte ma il brano è assolutamente scorrevole, coinvolgente e, perché no, ruffiano al punto giusto. Sembra molto difficile tenere a freno questo gruppo e infatti “Smaller Wooden Frog” è un’altra dimostrazione di agilità con le sue cadenze alla Gentle Giant che fanno somigliare quasi questa traccia a qualcosa dei primi Echolyn. Tutto cambia velocemente e la mescolanza di elementi è sempre vertiginosa anche se non mancano momenti per respirare e la cantabilità di “Seems so Real” giova molto all’album che ogni volta si trasforma per trovare continuamente nuovi equilibri. Arrivare alla fine è proprio un gioco da ragazzi e “Nonchalant”, un brano con begli arpeggi acustici ed un violino sognante, è la ballad di chiusura che sembra ricordare quasi qualcosa che proviene dal Québec.
Si poteva fare di meglio? Certamente sì e direi che diverse cose dovrebbero essere messe meglio a punto magari attraverso un songwriting meno nervoso, una scelta più varia delle timbriche delle tastiere, linee melodiche più incisive, elementi di maggiore personalità che vadano oltre la riproposizione di stilemi classici, ma sicuramente, al di là delle migliorie che possiamo suggerire, questo debutto è un ottimo biglietto da visita che spero sia solo il primo tassello di una lunga discografia, visto che le idee di certo non mancano a questi bravi musicisti.



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Jessica Attene

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