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UNIVERS ZERO Heresie Atem, Eric Faes, Recommended Records (Cuneiform Records 2010) 1979 BEL

Mi stavo arrovellando sulla frase “On n'échappe pas de la machine…” di Gilles Deleuze. Non si sfugge alla macchina, già: l’ingranaggio ci raccoglie a catena e vorrebbe renderci tutti uguali. Eppure, anche nel movimento dell’ingranaggio, se si dovesse fare una classifica dei gruppi degli ultimi decenni in base alla personalità e alla unicità della proposta, gli Univers Zero svetterebbero sicuramente in alta classifica. La loro capacità di miscelare elementi del progressive con elementi classici, avanguardistici, contemporanei, minimalisti e cameristici è davvero qualcosa di particolarmente intrigante.
Con la ristampa del loro “Heresie” si rinnova in maniera decisa la voglia di riconoscere tutte queste qualità e tutto quanto sia stato, per lungo tempo, giustamente decantato. La sorpresa, che non solo fa accendere una spia in più, ma scuote anche la più recondita voglia, è la presenza di una lunga bonus track.
Dire oggi cosa rappresentò all’epoca questo disco è impresa non da poco: tutta l’acqua passata sotto i ponti ha sovra strutturato la nostra mente che, magari anche in maniera inconsapevole, si è plasmata e abituata a certi suoni. All’epoca c’era lo spazio dell’inventore, c’era lo spazio per chi voleva e sapeva dire qualcosa di nuovo e l’espressione musicale era quella che dava la maggior varietà di forme “nuove”. Quando gli Univers Zero si affacciarono al mercato discografico c’era un fermento che oggi è impensabile da immaginare e, in più, stava per partire il movimento di Chris Cutler che tutti conosciamo con l’acronimo RIO e a cui gli Univers Zero aderirono fin da subito.
“Heresie”, secondo disco della band, ebbe un impatto deciso, fece drizzare le orecchie a parecchi, sia nel mondo della critica, sia tra i colleghi musicisti. I primi perché finalmente c’era materiale davvero nuovo su cui disquisire in un mondo musicale ormai dominato da flussi e riflussi tra prog in epoca decadente, disco music che dava gli ultimi botti, punk in crollo verticale e new wave in prossima ascesa. I secondi perché la miscela era quella giusta per chi sapeva suonare e comporre e voleva renderlo noto al grande pubblico.
Questa nuova edizione su supporto digitale si presenta con tutti i brani originali, vale a dire le tre lunghe suite avanguardistiche del vinile originale e, come già detto, l’aggiunta di “Chaos Hermetique”, brano di quasi dodici minuti che risale addirittura agli albori della band, incisa nel 1975 e quindi ben quattro anni prima degli altri brani del disco. Anche l’ordine di ascolto non è stato variato e quindi le danze si aprono con la lunga suite “La Faulx”, per oltre venticinque minuti di pennellate lussuriose e profonde. Una suite calcolata al millimetro, così equilibrata, così ben argomentata e messa su così bene che a seguirla sembra di seguire una fila di sassolini, gettati in tal perfetto ordine che consentirebbero anche al più sprovveduto Pollicino di ritrovare la strada, per quanto contorta e diramata essa sia. I suoni della masterizzazione sono assolutamente grandiosi, puliti, dettagliati e ci portano a pensare di essere davvero vicini a quello che doveva essere l’intento di Denis e compagni. “Jack the Ripper” è da sempre uno dei miei brani preferiti di questa band il suo sviluppo asimmetrico, ricco di pieni e di vuoti, è così denso di idee che chiunque altro ne avrebbe avuto materiale per interi dischi, eppure non è mai ridondante, mai si arrotola su spazi inutili e tutto è sempre tenuto a pelo della sua linea di galleggiamento. Chi sprofonda è invece l’ascoltatore, trascinato in vortici di grande pathos e di sensazioni che vanno spesso a coprire l’estremo, tra suoni che portano alla classica contemporanea e cameristica e suoni dai vaghi sapori orientaleggianti. Gli incroci tra i fiati e le percussioni, le scene nelle quali i protagonisti divengono i lacerati violini di Patrick Hanappier o il basso dell’eccezionale Guy Segers e sui quali l’organo di Roger Trigaux si inserisce dando un senso palpabile all’intento di scuotere gli animi e rimescolare sentimenti, tutto contribuisce a determinare un momento di musica elevatissima. Nel passaggio a “Vous le Saurez en Temps Voulu” si apre un tetro e cupo scenario, pieno di strali angoscianti. Splendidi unisono, assieme ad un rinnovato senso di ciclicità, mostrano quella piccola devozione ereditaria allo zeuhl dei Magma. Il basso è ancora in bella evidenza e guida i cambiamenti d’atmosfera anche verso tipologie da marcia funebre, aperte, però, su trasfiguranti poliritmie, piuttosto che sul solito e severo 2/4. Resta poi la traccia in omaggio, “Chaos Hermetique” si pone come straordinariamente adatta a completare il lavoro, dopo una riuscitissima ripulitura e digitalizzazione iniziata da un modesto supporto a nastro. E non solo si adatta dal punto di vista sonoro, ma anche e soprattutto per l’aspetto qualitativo, rivelandosi, nel suo magistrale sviluppo, un gioiello nascosto al pari di quelli precedentemente pubblicati, facendoci – tra l’altro – sperare che da qualche cassetto possa saltare fuori anche qualcos’altro.
Bene, la morale, ammesso che esista, è sempre quella … se avete voglia di scontrarvi con qualcosa che sappia di “interno” e che risvegli qualche mostro, magari solo un po’ sopito, accomodatevi.


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Roberto Vanali

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