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KEBNEKAJSE Aventure Subliminal Sounds 2012 SVE

Se i Kebnekajse sono tornati, lo hanno fatto secondo me senza troppe pretese, solo per il gusto di suonare la musica che piace a loro e al loro pubblico. Ecco quindi i nostri eroi ritratti nella copertina, ognuno a cavallo di un bel trattore, con alle spalle un paesaggio montagnoso a tinte accese, immagine questa che sintetizza sicuramente il mix fra folk e psichedelia che ha sempre caratterizzato la loro musica, a partire dal 1971, l’anno che diede il via alla loro discografia.
Proprio nella rielaborazione dei temi tradizionali i Kebnekajse riescono meglio, come nella traccia di apertura, “Snickar-Anders”, con il violino di Mats Glenngård, più classicheggiante che rurale a dire il vero, che disegna melodie ripetitive al ritmo delle percussioni africane di Hassan Bah, che certamente contribuiscono a rendere ancora più interessanti i vecchi motivi scandinavi. Molto carina è “Svartbergstrollen” che sembra quasi una canzone per l’infanzia ricolorata con i colori degli anni Sessanta, con variazioni bizzarre e divertenti. Anche quando i motivi folk perdono tutto il loro ritmo e diventano qualcosa di più dilatato e onirico, come nella splendida versione di “Vallåt efter Måns Olsson”, la musica risulta assai gradevole. Insomma se la proposta fosse essenzialmente questa qui non ci dispiacerebbe affatto ascoltare la solita roba.
Il problema è che l’album non convince sempre e del tutto, soprattutto per quel che riguarda alcuni brani autografi. Due sono i pezzi scritti dal grande Kenny Håkansson, figura chiave del vecchio Progg: “Spelmannen”, una mesta canzone cantautoriale accompagnata essenzialmente da arpeggi acustici, e “Tikli ja Tiira”, un brano dalle forti connotazioni folk in cui la chitarra dà bella mostra di sé. Due episodi semplici, gradevoli, ma che non fanno rivivere le prodezze del passato, mostrando una creatività ormai avvizzita. Lascia un po’ il tempo che trova la lunga title track, una specie di base musicale per la voce di Hassan Bah che recita in francese un testo da lui scritto. Stesso discorso in pratica per la traccia di chiusura, “Battery”, costruita con lo stesso principio. Molto più carina “Midsommarnattsdröm”, brano molto solare direttamente legato all’antico repertorio della band.
La durata totale è di soli 44 minuti e l’impressione finale è che manchi un po’ di sostanza a questo album che si regge grazie al fascino e alle grandi intuizioni del passato in una specie di nostalgica autocelebrazione. I fan troveranno certamente qualcosa di interessante in mezzo a diverse altre cose forse un po’ noiose ma, a conti fatti, devo ammettere che le due uscite precedenti mi avevano convinto di più.
Visto però che queste vecchie glorie sembrano ancora avere una scorza abbastanza dura possiamo sperare ancora in un nuovo album pieno di folk e psichedelia che ci trasporti ancora nelle fredde terre dei troll, magari pieno di musica da danzare attorno a un palo ornato di nastri e fiori in una splendida notte bianca estiva.


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Jessica Attene

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