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DAVE KILMINSTER Scarlet - The director's cut autoprod. 2012 UK

La fama del chitarrista Dave Kilminster è legata alle prestigiose e consolidate collaborazioni con pilastri del rock del calibro di Keith Emerson e Roger Waters: il primo lo indicò addirittura come la ragione per il suo ritorno sulle scene, e lo scelse come elemento di spicco della sua band, assieme a quei Phil Williams (basso) and Pete Riley (batteria) presenti anche tra questi solchi; il secondo lo assoldò già nel 2006 per la sua riproposizione itinerante dell'intero "Dark Side of the Moon", confermandolo tra i ranghi anche per il "The Wall" indoor tour e la sua versione "da stadio" in programma la prossima estate (sempre nel ruolo che fu di Gilmour, voce solista inclusa). Sua, inoltre, la chitarra al servizio del progetto Quango, tentativo di rinverdire i fasti dei primi Asia, che vedeva la partecipazione di John Wetton e Carl Palmer.
Pubblicato originariamente nel 2007, "Scarlet", esordio solista di Dave Kilminster, vede di nuovo la luce in versione director's cut, in questa autoproduzione distribuita da Cherry Red, permettendo a chi se lo fosse perso all'epoca di apprezzarlo in una versione remixata e rimasterizzata (in collaborazione con Jamie Humphries), certamente più vicina alle intenzioni originali dell'artista.
Come ammesso dallo stesso Kilminster, l'album, per il fatto di essere un distillato delle influenze assimilate in anni di ascolti radiofonici, appare piuttosto eterogeneo, spaziando da un rock sostenuto ("Static") a soffuse ballate ("Angel", "Brightest Star", col suo quartetto d'archi, "Rain...", con la voce di Anne-Marie Helder), da marcate influenze jazz-funky ("Silent scream"), al soul ("Chance"), all'AOR ("Big Blue"), il tutto senza mai perdere la bussola e con la costante del buon gusto nelle costruzioni chitarristiche, sempre nel segno della misura e di una prova vocale sorprendente per chi può essere definito quasi un debuttante nel campo. Adeguata la prova della sezione ritmica, con il basso in bella evidenza nei brani più "tirati", mentre le tastiere restano relegate sullo sfondo, con l'eccezione del piano nel lungo intro atmosferico della conclusiva "Harkness".
Se vogliamo cercare un limite a questo lavoro, esso risiede nel fatto che l'eleganza delle composizioni non sfocia mai nel colpo di genio, l'ascolto si mantiene costantemente su livelli più che piacevoli, ma non ci si alza mai dalla poltrona per annotare il numero di una traccia che stuzzichi l'attenzione e la fantasia in modo particolare. In altre parole, se la classe di Dave è evidente, altrettanto palese è la sua intenzione di circoscrivere le composizioni in un ambito tutto sommato mainstream.
Accogliamo dunque con gioia la riproposizione di un album meritevole dell'attenzione di un pubblico più vasto, confidando in un seguito all'insegna di una maggior profondità (la tecnica non si discute); per ora mi sento di consigliare questo "Scarlet" - album atipico se pensato come valvola di sfogo solistica di un chitarrista gregario - a chi apprezza l'eclettismo strumentale purché non cerchi qualcosa di particolarmente innovativo o "progressivo".



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Mauro Ranchicchio

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