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GRAND GENERAL Grand general Rune Grammofon 2013 NOR

Leggendo le note biografiche di questo novello gruppo norvegese, ho certamente notato la formazione musicale di alcuni dei membri presso la Jazz Academy di Trondheim e la militanza presso gruppi jazz già rodati, ma non potevano passare inosservate certe preferenze verso gli ambienti metal, come neanche il passato del batterista Kenneth Kapstad nei Motorpsycho. No, non voglio affatto dire che questo brillante esordio discografico abbia qualcosa a che fare col metal, ma sicuramente colpiscono duro certe fluttuazioni e alternanze fra soluzioni ruvide ed abrasive e impasti jazz rock di una fluidità impressionante. Molto particolare in questo contesto è poi l’inserimento del violino di Ola Kvernberg, anch’egli legato ai Motorpsycho per una apparizione nell’album “The Death Defying Unicorn”, ma con alle spalle una solida formazione jazz e trascorsi anche in ambito folk. Questa capacità di fagocitare qualsiasi stile musicale deriva senza dubbio dalla volontà e dalla capacità di suonare con tutti, purché ci si possa misurare sul terreno della buona musica. Come Ole, e come il tastierista Erlend Slettevoll, il chitarrista Even Helte Hermansen proviene dalla Accademia Jazz di Trondheim e vanta inoltre una buona discografia di quattro album col power jazz trio Bushman's Revenge. Non ci rimane che presentarvi il bassista Trond Frønes che è il principale compositore del gruppo, anch’egli alle prese con altre formazioni fra cui segnaliamo i Møster! con Nikolai Eilertsen degli Elephant9.
L’album, 46 minuti di durata in tutto, è una miscela di musica istintiva e dal piglio live che sprigiona energia ma che allo stesso tempo è in grado di impressionare per la sua tecnica. Non troviamo mai freddo nozionismo, anzi, spesso si preferiscono soluzioni di impatto e quasi animalesche. La lunga traccia di apertura, “Artic”, è un calderone infernale di dodici minuti che ricorda in parte la Mahavishnu Orchestra, con un violino ribelle, ma in cui si scorgono guizzi Frippiani e una abrasività a tinte psichedeliche che potrebbe farci pensare ai già citati Elephant9. La batteria segna il grado di potenza del pezzo, alternando con versatilità passaggi più hard a sequenze rapide e più felpate dal taglio Jazz. Le tastiere snocciolano assoli su assoli, giocando a volte con suoni distorti, e la chitarra contribuisce a dare alla musica un aspetto spigoloso. Con i suoi continui inseguimenti, che fanno quasi temere che qualcuno prima o poi inciampi sulla cascata di così tante note attorcigliate, la musica risulta assolutamente coinvolgente. Il gruppo dimostra di saper sfruttare anche la melodia, come in “The Fall of Troy”, granitica ma costruita su motivi accattivanti. “Clandestine” ha persino una veste leggera con atmosfere ovattate che spezzano un po’ la tensione di un’apertura al fulmicotone. Molto bella “Ritual”, con il suo jazz rock un po’ acido, che ci trasporta verso un finale, quello di “Red Eye”, in cui si recupera sia la lunghezza (ora siamo sugli undici minuti) che l’intraprendenza dell’avvio, seppure con ritmi meno serrati che questa volta mettono in risalto le doti della chitarra elettrica, impegnata in assoli e improvvisazioni in un contesto per certi versi un po’ Zappiano. Un altro colpo portato a segno per l’etichetta norvegese che sicuramente saprà farsi apprezzare soprattutto da quelli che amano la musica vissuta e suonata.



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Jessica Attene

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