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SANGUINE HUM The weight of the world Esoteric Recordings 2013 UK

Mi è caduta l’attenzione su questo nome grazie ai Thieves’ Kitchen, dal momento che il bassista e il batterista, Paul Mallyon e Brad Waissman, hanno suonato insieme, come ospiti, nell’ultima fatica discografica di questa band. In realtà i Sanguine Hum hanno ora un nuovo batterista, Andrew Booker, che scompagina un quartetto solido che aveva da anni lavorato assieme sotto diversi nomi. Fra il 2003 ed il 2007 infatti la stessa line-up, composta, oltre che dalla coppia di musicisti citata sopra, da Joff Winks alla chitarra e alla voce e da Matt Baber alle tastiere, dava vita sia agli Antique Seeking Nuns che alla Joff Winks Band. Poco dopo, nel 2008, ecco invece i Numbient, un duo composto dai soli Winks e Baber, ed infine, nel 2010, registriamo l’esordio discografico di questi Sanguine Hum, intitolato “Diving Bell”. I Sanguine Hum si portano evidentemente dietro tutta una eredità di suoni e visioni ma a prevalere senza dubbio è il retaggio oscuro e melodico della Joff Winks Band, a discapito dell’anima Canterburyana e Zappiana dei Nuns. Questo non vi allarmi più di tanto: anche se la canzone rimane centrale e nonostante i vari ammiccamenti British pop, le composizioni mantengono una certa complessità con arrangiamenti spezzettati ed interessanti. Basta solo usare la lente d’ingrandimento dell’attenzione per scoprire che gli spartiti dei Sanguine Hum sono stuzzicanti, anche se da lontano è il cantato a predominare. In realtà la voce acidula di Joff Winks potrebbe risultare un po’ urticante per qualcuno ma la morbidezza dei suoni, soprattutto quelli felpati del Rhodes e dell’organo Hammond, contribuiscono non poco ad attutire quest’effetto. La dinamicità della sezione ritmica è notevole e tende continuamente verso soluzioni non scontate: se in questo senso un pezzo melodico come quello di apertura, “From Ground Up” potrebbe spiazzarvi per la sua linearità, provate invece a partire dalla fine con la title track, un brano di quasi quindici minuti decisamente intrecciato che fa oscillare il pensiero fra i Gentle Giant di “In a Glass House”, i Cardiacs meno aggressivi e i VdGG. Viene utilizzato un effetto percussivo molto simile a quello del vibrafono e a tratti della marimba col quale si ottiene una sensazione sonora brulicante con ondate di tastiere in lenta progressione a dare profondità. Con il cantato prevale l’aspetto melodico ma è chiaro che laggiù in fondo c’è sempre qualcosa in continua agitazione. Il brano risalta particolarmente anche grazie al contrasto con la breve e poetica “Phosphor” che lo precede, una fragile ballad essenzialmente per piano e voce dalla quale presto ci si risveglia con un finale piacevole ma decisamente più impegnativo. L’effetto incrociato del suono del vibrafono e dei synth viene sfruttato spesso e contribuisce a creare un gradevole effetto spezzettato e formicolante. Splendida in questo senso “In Code” con i suoi riverberi ed il suo delicato movimento ritmico. Forse per il fatto che si tratti di uno strumentale riesce a mettere meglio a nudo la bravura misurata di questi musicisti che si rivela qui in un pezzo non privo di impressioni Zappiane e Frippiane inserite in una matrice fluida e solleticante. “System of Solution” possiede una robustezza appena più accentuata grazie ai riff della chitarra che qui fa un ottimo lavoro, anche con arpeggi puliti ed assoli. Un occhio è sempre rivolto all’aspetto melodico mentre la base ritmica mantiene la sua vivacità. Forse non ci si fa subito caso, ma gli interventi delle tastiere, che riescono a farsi spazio anche negli anfratti più difficili, sono davvero molto belli. Purtroppo o per fortuna un ascolto solo non basta e cedere alla tentazione di soffermarsi all’aspetto canoro dai contorni più pop non conviene affatto. La durata dell’album è di soli 45 minuti, ma da un pool di musicisti che ha realizzato una trilogia di EP (parlo di quella dei Nuns) cosa vi aspettavate? Non è un disco come quelli che vanno di moda oggi, che sfrutta ogni spazio esistente del supporto digitale del CD, ma non ci sono scarti, soltanto buona musica che, una volta tanto, non è proprio la solita musica.


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Jessica Attene

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