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ESTHEMA The hereness and nowness of things autoprod. 2009 USA

Le intersezioni musicali si infittiscono nel secondo album degli Esthema con l’arrivo di una nuova sezione ritmica composta ora dall’argentino Ignacio Long al basso e dal batterista brasiliano Bruno Esrubilsky, anche se la via maestra rimane quella che collega l’Oriente all’Occidente, la tradizione con l’innovazione attraverso la rilettura di tematiche folk mediorientali e balcaniche filtrata alla luce brillante del jazz e del progressive rock. Gli spartiti sono ancora quelli di Andy Milas e la sua chitarra, assieme all’oud e al bouzuki di Teri Lemanis, caratterizza fortemente il sound di una band che si conferma estremamente interessante anche in questa nuova uscita. Un leggero tocco classico è fornito ancora dall’ispirato violino di Onur Dilisen che all’occorrenza si avvolge di preziose vesti arabeggianti. In un paio di episodi troviamo anche il violoncello dell’ospite Robyn Ryczek che, in “Arrythmia” soprattutto, attenua molto le atmosfere rendendole sognanti e languide. Forse è proprio la sezione ritmica a fare un po’ la differenza con la sua flessuosità e le trame jazz appena più accentuate, anche se una maggiore versatilità si percepisce in modo diffuso rendendo l’esperienza di ascolto ancora più stimolante. In tal senso sono molto intriganti le parti soliste, con momenti di improvvisazione, specie quando a sostenerle sono gli strumenti etnici che offrono tonalità jazzy dal sapore insolitamente speziato, come nella splendida traccia di apertura, “Change of Season”, ottimo biglietto da visita per il gruppo. Non c’è dubbio che questa musica, al di là degli evidenti meriti artistici e tecnici, susciti una certa empatia, come dimostrato dall’ampio spazio trovato in numerose stazioni radiofoniche internazionali, fatto questo rilevato anche dalla International Association of Independent Recording Artists (IAIRA) che ha certificato il pezzo “Eastern Dance” come top 10 internazionale. Questa traccia in particolare possiede colorazioni etniche accentuate che sembrano portarci in terra turca, ricordando qualcosa dei Moğollar, con una base ritmica in evidenza. Ma non sempre la provenienza geografica è così precisa e ogni pezzo è attraversato da sensazioni cangianti, come ad esempio “Illusion and Truth” con suggestioni ora latine, ora mediterranee, arricchita al tempo stesso da scintillanti ornamenti mediorientali, o come “Forward Motion”, a metà strada fra Grecia ed Arabia. In evidenza sono sempre i disegni melodici che si sviluppano lentamente e con grazia e che riescono a vincere persino la bellezza delle singole prove strumentali e la particolarità degli elaborati arrangiamenti. Al tempo stesso le atmosfere sono molto avvolgenti, decisamente scenografiche a volte, e mi piace citare in questo caso la conclusiva “On & On”, con le sue struggenti parti di violino, i caldi arpeggi degli strumenti acustici, le parti elettriche soft fusion ed il suo appeal da colonna sonora. Con tutti i suoi colori e le tante contaminazioni questo album è un esempio di perfetto equilibrio fra fruibilità e complessità e di piacevole integrazione di schemi sonori e linguaggi diversi, in grado di incontrare i gusti di un pubblico davvero ampio senza scadere in facili ruffianerie. Mi auguro quindi che molti di voi possano avere il piacere di ascoltarlo, rimanendo in attesa di nuove notizie da parte di un gruppo molto valido e in continua crescita.



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Jessica Attene

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