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THE DUSTMAN DILEMMA First trip to the roaring plains Baboon Fish Label 2013 FRA

Per uno come me, che nei suoi primi vent’anni di ascolti progressive ha sempre rifiutato aprioristicamente la musica francese, è un bel colpo accorgersi, nei vent’anni successivi, quanto materiale di valore e che belle teste progressive ci siano sempre state nella terra dei cugini d’oltralpe. Ed ecco un’altra bellissima sorpresa nell’album di esordio di questo quintetto di Caen, terre del nord, a due passi dal Canale della Manica, terre di grande storia e di bellezze innumerabili.
La band, visto che è all’esordio val la pena presentarla, è formata dal tastierista Laurent, dal chitarrista MaAs’K, dal batterista e cantante Nico, dal bassista Virgile e dal fiatista Sam, tutti indistintamente si occupano anche delle parti corali e delle seconde voci. Presumo che i suddetti abbiano anche un regolare nome-cognome, ma queste sono le indicazioni del CD e anche della Label.
I The Dustman Dilemma propongono una miscela molto personale che parte da una decisa base jazz rock sulla quale, intelaiano parti psych, accenni di Canterbury e di zappa, follie gonghiane e un bel set di voci che, per timbro e impostazione, riportano alla mente il grande Kevin Ayers. Complessivamente, però, non si può fare a meno di ricordare anche Dashiell Hedayat e quel fantastico lavoro che fu “Obsole-te”, forse per la forma poetico recitativa o per quel rotolare di parole, suoni e immagini o semplicemente perché, durante l’ascolto, mi è piaciuto pensarla così. Scelta importante per il gruppo è quello di cantare in inglese, scelta che li avvicina ancor più alle band anglosassoni di riferimento, anche se lo spirito del jazz rock francese anni settanta si sente e allora potrei citare Edition Speciale, Abus Dangereux e, soprattutto, Patrick Forgas. Quindi provate ad immaginare tutto quanto sopra ma con un bellissimo abito moderno, fatto di bei suoni puntuali e spesso taglienti, di chitarre piene e di incroci di fiati e tastiere molto intriganti. Scoppiettanti e ben congeniate le sei composizioni inserite del disco. Si parte con i due strumentali fusi tra loro: “First Dive” e “Breathless”, poliritmie, rovesciamenti tonali, ritmiche serrate e temi jazz rock che si fanno teatro, che si fanno improvvisazione, che sanno farsi anche armonia e divertimento, con un sax finale che riesce a reinventare le particolari partiture di Didier Malherbe.
Più giocate su sublimi chiaroscuri “Encounter With Solitude” dotata anche di un particolare loop chitarristico sul quale organo e sax si aggirano ora solitari, ora in compagnia e “Glance Behind” dove protagonista è un crescendo melodico assai avvincente, compreso un momento hard jazz crimsoniano da sentire assolutamente.
Supponiamo brevemente di aver trovato il miglior album dell’anno. Supponiamo che abbia tutti gli ingredienti per esserlo, facciamo finta che tra le (poche) centinaia di dischi ascoltati questo sia davvero quello che più ci ha appassionati e intrigati, pensiamo che sia quello che con maggior frequenza è passato dal lettore CD e ogni volta con grande soddisfazione. Pensiamolo tutto questo solo per un attimo, poi cancelliamo tutto e vediamo cosa succede: se il pensiero, dopo qualche settimana, ritorna, ormai è fatta.


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Roberto Vanali

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