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SEIN |
Tesis |
Lazcoz Producciones |
2013 |
ARG |
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Non è certamente mettendo i CD in piramidi argentate di cartone che si ottengono opere faraoniche. La confezione del secondo album dei Sein è davvero particolare, oltre che scomoda (anche se potete optare anche per il formato classico, quindi non è certo questo che ne inibirà l’acquisto) ma la formula musicale purtroppo non è all’altezza di un packaging così ambizioso. L’esordio di questo trio mi era molto piaciuto, pur nella sua semplicità, adesso però il gruppo sceglie soluzioni più dirette, schematiche e paradossalmente anche meno fresche e spontanee, sfociando non di rado in una radiofonicità anni Ottanta che non lascia spazio alla creatività. A dire il vero il disco non parte proprio male e, sebbene piuttosto melensa, la traccia di apertura “Anoche Morì Otra Vez”, col suo basso sincopato e certe arie New Prog, riesce a trattenerci all’ascolto in attesa che il disco finalmente decolli. “Colmo”, con le sue atmosfere Genesisiane, ci tiene sempre in bilico e riesce a legarci ancora un po’ con intermezzi tastieristici in fin dei conti schioppettanti e con la sua piacevole cantabilità… che qualcosa si stia muovendo finalmente? Non proprio, qualche spunto qua e là si trova, un pizzico di Yes del periodo “90125”, qualcosina dei connazionali Serú Girán, che avevano più pesantemente caratterizzato il grazioso esordio di tre anni prima, e pochissimo altro. Per una ammiccante “Agua” che ancora a stento rimane in piedi ci sono diversi altri pezzi coi quali il gruppo capitola clamorosamente ed è la porzione centrale a soffrire (o a far soffrire l’ascoltatore) maggiormente, come l’insipida ballad per voce e piano “Me Faltas Vos” mentre “Desaparecer” sembra quasi uno di quei pezzi che qualche decennio fa si ballava guancia a guancia alle feste delle medie. Tenore molto scarso anche per “El Gallo De Los Huevos De Oro”, degno di quei tastieristi da piano bar che vengono reclutati per fare i juke box umani ai matrimoni e che usano basi preimpostate. Più divertente e movimentata è “Sale” ma rimane sempre abbastanza schematica, allo stesso modo il grazioso giro di Moog del successivo strumentale “Las Antorchas De Los Demás”, che peraltro ricorda alcune linee melodiche del precedente album, riesce a destarci appena dal nostro disinteresse senza scuoterci più di tanto. “Tren” è ormai il pezzo di chiusura, melodico, cantautoriale e piacevole ma ancora una volta abbastanza insignificante. Ci rendiamo conto che in così tante tracce di strada ne abbiamo fatta davvero poca. Le idee migliori sono quelle che replicano quelle dell’esordio e nel contesto di un’opera piatta e piuttosto noiosa appaiono decisamente depotenziate. Meno sviluppate che in passato sono sia le parti di chitarra che quelle di tastiere, il cantato prevale come sempre mentre la sezione ritmica, a cura di Adrián Casini (batteria) e Martín Lonzano (basso), non dà prova di particolare brillantezza. Stavolta credo proprio che Marcelo Siutti, cantante, chitarrista e tastierista del trio, abbia fatto male i suoi conti. Magari è arrivato il tempo di ampliare un po’ i propri orizzonti coinvolgendo di più i suoi compagni e delegando un po’ delle sue competenze a qualcuno di nuovo che lo aiuti a rinfrescare le sue idee, che pure in passato ci avevano convinto. Non è la fine, ne sono certa, ma la prossima volta auspico più musica e meno origami. Una postilla per dovere di cronaca: l’album contiene anche una traccia video con una versione acustica di “Desaparecer”.
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Jessica Attene
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