Home
 
ANTON ROOLAART The plight of Lady Oona autoprod. 2014 USA

Questa recensione nasce dal caso. Girovagando in internet mi imbatto in una copertina di un album che mi incuriosisce perché coniuga un’immagine del rinascimento con la fantasy e dal lettering affascinante. L'autore mi è sconosciuto, Anton Roolaart. Una breve ricerca e qualche notizia affiora con facilità. Si tratta di un polistrumentista americano di chiare origini olandesi e “The plight of Lady Oona” è il suo secondo album dopo il debutto, datato 2007, con “Dreamer”. Già il disco d'esordio aveva messo in mostra un artista con le idee chiare, tanto da riuscire a coinvolgere nel progetto Rich Berends (batterista dei Mastermind, prog band statunitense con parecchi album all'attivo negli anni '90) e Rave Tesar (tastierista delle ultime “incarnazioni” targate Renaissance). Il nuovo album, oltre alla consolidata partnership con Tesar, vede la partecipazione in quattro dei sei brani, del batterista dei Knight Area (olandesi...) Pieter Van Hoorn e soprattutto il formidabile cameo di Annie Haslam nella title track, oltre ad altri collaboratori fidati di Roolaart (che si occupa di chitarre, mandolino, tastiere, percussioni, voce e di programmare parti di batteria). La melodica ed avvolgente “Gravity” (uscita anche come singolo) è una bella ballata con ritornello di facile presa e piacevoli orchestrazioni. Un brano semplice ma sognante e di sicuro piacevole impatto, con arrangiamenti molto curati. Stuzzicante “Stars fall dawn” che ricorda le ariose partiture degli ultimi Eloy, con notevoli assoli di chitarra di Roolaart e intriganti violini (campionati). La piéce de resistance è la suite che dà il titolo all'album. Tutto il talento compositivo di Roolaart affiora: il variegato, e di gran gusto, uso delle tastiere, gli sprazzi sinfonici che si alternano a momenti acustici e più soffusi, momenti di placida attesa che fanno da preludio alla soave voce di Annie Haslam, l'atmosfera sospesa ed ancora il duetto vocale tra Anton ad Annie tra note di piano e chitarre acustiche. Poi una breve, ma intensa, esplosione sinfonica degna del miglior Wakeman e sempre qualche rimando agli Eloy (“Silent cries...”). Un lungo segmento di chitarra acustica ci accompagnano alla fine di un ottimo brano. Più cupa ed “introversa”, quasi un contrappasso alle prime tre tracce più solari, è “Standing in the rain”. Di struggente bellezza è l'unico strumentale “Memoires” tra chitarre classiche, acustiche, il soffuso pianoforte e magnifiche orchestrazioni. “The revealing light” chiude l'album in modo più che degno. Anche qui atmosfere piuttosto rarefatte, anche se frequenti sono gli intermezzi frizzanti con chitarra, a tratti hard, e ritmica aggressiva e sostenuta. Un album scoperto per caso, ma di ottimo valore, e questo certamente “non per caso” ma grazie al talento di Anton Roolaart, davvero sorprendente e squisito.


Bookmark and Share

 

Valentino Butti

Italian
English