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SPIROGYRA Bells, boots and shambles Polydor 1973 (Esoteric Recordings 2013) UK

Vendette poco, nel 1973, questo terzo album degli Spirogyra. Vendette poco nonostante la sua bellezza delicata e senza tempo. Questo elegante groviglio di sonorità folk rock acustiche ed orchestrali, dai riflessi acidi e dalle sfumature psichedeliche, probabilmente all’epoca non era più di moda e senza un contratto discografico né soldi per mantenersi il gruppo ebbe vita breve. Ironia della sorte, l’album originale oggigiorno non si trova sempre a prezzi economicissimi: sono le leggi del mercato e dobbiamo farcene una ragione. In compenso arriva questa bella ristampa rimasterizzata ed è tempo quindi che questa musica torni a suonare. Questo album è il frutto della convivenza fra Martin Cockeram (voce e chitarra) e Barbara Gaskin (voce). I due, lasciata Canterbury, dove il gruppo prese corpo nel 1969, si trasferirono in uno scantinato nella zona di Battersea, Londra, appartenente al giornalista Austin John Marshall. Qui hanno consumato la loro relazione, trovando la giusta ispirazione per questo album dagli arrangiamenti interessanti e dal feeling incantevole. Anche se non facevano più parte a pieno titolo del gruppo, si unirono alla coppia alcuni dei vecchi membri, Julian Cusack (piano e violino) e Steve Borrill (basso), come anche altri ospiti, fra i quali spicca sicuramente Dave Mattacks, batterista dei Fairport Convention. Troviamo inoltre, a completare l’organico, Steve Ashley (whistle), Henry Lowter (tromba) e Stan Sulzman (flauto).
Se è certo che la voce di Barbara Gaskin, che ricorderete sicuramente in alcuni album di Hatfield & The North, Egg e National Health, rappresenta l’elemento più affascinante di quest’opera, dobbiamo comunque sottolineare la bellezza e la particolarità di impasti sonori ruvidi ma allo stesso tempo ricchi di particolari intriganti, la freschezza e la fragilità di intarsi costruiti sulle note della onnipresente chitarra acustica ed arricchiti da aggraziati spunti cameristici. L’oscurità di alcune atmosfere ci fa in parte pensare ai Comus, anche se gli Spirogyra, in questa che è forse la loro produzione più raffinata, non sono mai così sanguigni. Ulteriori similitudini si possono benissimo trovare con Jefferson Airplane e Incredible String Band, anche se qua e là sembra di respirare, a tratti, gli aromi di una scena Canterburyana che praticamente era lì a portata di mano.
Il cuore dell’album è rappresentato dalla suite conclusiva “In the Western World”, una miniatura in quattro movimenti che si sviluppa in appena dodici minuti. Un brano che si apre in modo semplice e raffinato, con la voce di Barbara sorretta appena dal piano filiforme e brillante, e che sboccia inaspettatamente sui ritmi incalzanti della chitarra scintillante e veloce. I ritmi sono piacevolmente sostenuti e l’atmosfera si carica di magia e mistero. I ritornelli cantati come una specie di formula magica sono spazzati via dal suono di una marcia e sul finale la voce di Martin è rabbiosa e strappata. Altrettanto potente ed evocativa è la traccia di apertura, “The Furthest Point”, che sfoggia delle liriche molto impegnative, basate su un saggio di Marshall McLuhan. Si parla qui dell’effetto ipnotizzante dei media ma, a fronte di questa tematica inquietante, la musica è tratteggiata con gentilezza. Il flauto, la chitarra arpeggiata e gli archi sono frammenti di eterea poesia. La voce di Barbara è deliziosa e fatata. I fiati sono a tratti austeri e solenni e gli spartiti sono raffinati e movimentati. Questo era il secondo brano per lunghezza, con i suoi otto minuti e, a completare un’opera di fatto breve, quaranta minuti in totale, troviamo una manciata di tracce più corte. Vediamole velocemente e in ordine sparso: “Spiggly”, brano dal sapore agreste, con un flauto che segue timbriche acute e quasi stridule, dura appena un minuto. “An Everyday Consumption Song”, quattro minuti e mezzo, segue le stesse atmosfere, procedendo adagio e in modo cantilenante. “The Sergeant Says”, tre minuti e quaranta, interpretato da Martin, è quasi poppish ed ammiccante. “Parallel Lines Never Separate”, cinque minuti, è costruita su due sequenze musicali dalle caratteristiche diverse poste l’una di seguito all’altra, quasi fossero fra loro parallele: la prima acida, stranamente scherzosa, con la voce di Martin un po’ alla Bowie, e la seconda, interpretata questa volta da Barbara, molto poetica, soft e piacevole, con bei riferimenti ai Jefferson Airplane. “Old Boot Wine”, poco più di quattro minuti, è infine leggera e sognante. Gli arpeggi accarezzano una voce sommessa, quella di Barbara, ed ecco che il flauto si leva con delicatezza, così come gli archi flebili che sembrano sul punto di dissolversi a ogni sospiro. Il fascino è quello della musica antica e le liriche sono autentica poesia, e in effetti il brano si ispira a William Blake. A corollario di tutto ciò troviamo infine una piccola sorpresa e cioè “I Hear You’re going Somewhere (Joe Really)”, una bonus che originariamente, nel 1973 era la B-side di un singolo, brano uesto abbastanza rustico ma intrigante, molto affine alla poetica dei Comus ma con un piglio stranamente allegro e frizzante
Dopo questo album gli Spirogyra hanno registrato alcuni demo che non attirarono l’interesse di nessuna casa discografica. Fu così che Cockerham iniziò il suo cammino spirituale con gli Hare Krishna e Gaskin si tuffò in una serie di collaborazioni interessanti che le fruttarono persino un inaspettato primo posto nelle hit parade assieme a Dave Stewart con la cover di “It’s My Party” di Lesley Gore. Nel 1990 si registra una fugace reunion del gruppo che non ha portato a nessuna pubblicazione. Bisognerà aspettare fino al 2009 per vedere finalmente qualcosa di concreto: “Children's Earth” è un album nuovo di zecca realizzato da Martin assieme a Marc Francis (chitarra acustica, piano, sax, voce). Il duo torna al lavoro nel 2011 con “Spirogyra 5” avvalendosi questa volta della collaborazione di tantissimi ospiti fra cui il trombettista di “Bells, Boots and Shambles” Henry Lowther. Il 2013 è l’anno delle ristampe dei primi tre album e la storia, a questo punto, credo continui. Non ci rimane che aspettare.



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Jessica Attene

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