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INNER DRIVE Oasis Lizard 2014 RUS

“Inner Drive” è quell’intimo desiderio, quella scintilla interna che trascina la vita di ogni uomo. Il nome del gruppo, creatura del talentuoso tastierista Sergey Bolotov, si riferisce ad un concetto bellissimo che, tradotto in musica, immaginerei espresso con grande slancio emotivo. In realtà questo debutto, splendidamente prodotto e suonato specificherei subito, sembra più chirurgico che passionale, appare molto contenuto nelle emozioni che sembrano sempre frutto di calcolo e non di estasi ed abbandono. Sergey Bolotov ci propone qui dieci brani strumentali, da lui interamente composti, in cui il pianoforte la fa da padrone. Il suo non è sempre un ruolo appariscente ma anche quando le melodie portanti sono imbastite dal flauto (suonato da Natalia Filatova in 5 brani) ed il violino (suonato invece da Inna Klubochkina in soli tre pezzi) questo controlla sempre da lontano la scena, contrappuntando in modo intelligente e stimolante gli altri strumenti. E’ interessante notare come il flauto ed il violino non si incontrino mai nello stesso brano, generando composizioni equilibrate ed eleganti, con sonorità pulite e mai impastate. In realtà il pool di otto musicisti che ruota attorno a Bolotov si alterna nelle varie tracce e troviamo persino due coppie di basso e batteria che si dividono il lavoro.
L’aspetto sinfonico, sostenuto da una struttura rock ben pronunciata, è quello più in evidenza. Vi sono anche alcune connotazioni fusion, come espressamente rivendicato dalla band, ma appaiono meno rilevanti alle mie orecchie. La traccia di apertura, “Way to the Unknown”, è di quelle che lasciano il segno. Gli spartiti sono molto irrequieti, guidati da una sezione ritmica decisa e puntuale, le melodie principali sono ad opera del violino, col pianoforte che ci regala un’imponente opera di ricamo con fraseggi articolati ed inseguimenti. La formula sembra quasi quella dei connazionali Lost World, per chi li conosce, ed il paragone, a mio parere, è molto lusinghiero. Nella title track, più rilassata e poetica, è invece il flauto a condurre le danze con bei guizzi strumentali. Il sapore è quello di un sofisticato symphonic chamber rock sullo stile dei Quaterna Requiem con un’abbondanza di elementi classicheggianti.
E’ forse un po’ a sé stante “Full Moon” che si basa su una combinazione di synth più pesante con belle concatenazioni di assoli. Questo brano, assieme al più soffuso “Chaos”, è l’unico in cui non compaiono né il flauto né il violino. Il secondo in particolare presenta colori piuttosto indefiniti e riverberanti con suggestioni quasi di fine anni Settanta vagamente Yessiane.
In realtà l’ascolto rivela che si è cercato di dare ad ogni traccia una propria identità. Ecco quindi che “Aibga” è pittorica e sfuggente e, con mia grande sorpresa, scopro anche che un brano intitolato “Inspired by Pink Floyd” in realtà mi evochi ben poco del gruppo di Gilmour… ma in fondo, potreste controbattere che “ispirato” non significa “copiato”… Beh, ecco, avete ragione… e menomale che qualcuno ogni tanto se ne ricorda! In questa traccia un incipit romantico prelude a una sequenza quasi Crimsoniana, oscura e aggrovigliata, con synth decisi dai quali il violino si divincola con grazia. Non voglio tralasciare in questa disamina un po’ disordinata “Life in our minds”, brano molto agile e variabile che non perde mai il suo particolare gusto per la melodia neanche nei momenti più intrecciati e nervosi.
Come pezzo di chiusura è stato scelto un brano molto breve, fugace ed appena tratteggiato, “Transience”, che si dilegua rapidamente lasciandoci emozioni incerte. Ed il punto, torniamo sempre lì, è proprio questo: la musica è di buona qualità e suonata con grande professionalità ma la stoccata secondo me non va del tutto a fondo. Troppo è nelle mani, comunque esperte, del leader Sergey Bolotov e forse un’interpretazione più enfatica o un approfondimento delle interazioni strumentali avrebbe potuto fare la differenza fra un buon album ed un capolavoro. Ma questo, non dimentichiamolo, è un esordio; il meglio, ne sono certa, deve ancora venire.



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Jessica Attene

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