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MAGIC BUS Transmission from Sogmore’s garden autoprod. 2014 UK

A prima vista questo autobus magico sembrerebbe proprio uno di quei leggendari pulmini Volkswagen che qualcuno si divertiva a ridipingere con colori sgargianti, ornandoli di vistosi motivi floreali e simboli della pace. Ma più che un pulmino, ve lo dico io, si tratta secondo me di un caravan a tutti gli effetti, viste alcune sfacciate somiglianze… A bordo del mezzo viaggia un tizio originario, guarda caso, del Kent. Si tratta di Jay Darlington, tastierista che adora le sonorità vintage, soprattutto quelle di Hammond, Mellotron e Fender Rhodes, un tempo membro effettivo dei Kula Shaker nonché live performer degli Oasis. Chissà se si deve proprio a lui quel pizzico di ruffianaggine che non guasta la minestra ma che la rende al contrario oltremodo appetibile? Come quella che ad esempio inebria la traccia di apertura, “Sunflower”, così sorniona, sgargiante e trotterellante, deliziosa come un bagno di sole in una distesa di girasoli, leggera e stuzzicante come un pezzo dei Beach Boys dalle insolite connotazioni Canterburyane. E’ proprio Jay in effetti ad aver scritto buona parte di questo lavoro (il secondo in studio dei Magic Bus, dopo l’eponimo esordio uscito nel 2011), dividendo questo compito con l’altrettanto dotato ed affabile Paul Evans, cantante e chitarrista. Il loro è un songwriting scorrevole ed ammiccante, grondante di psichedelia ma intriso anche di brillanti momenti Canterburyani. Dando un’occhiata agli altri passeggeri notiamo che oltre al bassista Benny Brooke, al batterista Matt Buttin e al chitarrista solista Terence Waldstrӓdt, c’è anche una flautista, Viv Goodwin-Darke, giunta a sostituire in questo nuovo album il “vecchio” (non intendo in senso anagrafico) Rowan Day. E’ proprio grazie al suo splendido lavoro che la musica sembra letteralmente volare, seguendo sentieri magici fatti di sabbia colorata che tagliano serpeggiando prati densi di fiori dai profumi euforizzanti. Le somiglianze coi Caravan, dicevamo, sono più che sfacciate e ce lo dimostra concretamente un pezzo come “Seven Wonders” che a un certo punto pare a tutti gli effetti una estrapolazione di “If I Could Do…”, come anche la divertente “Morning Mantra” che questa volta ci porta su territori grigio-rosa ricordando le atmosfere scherzose e spensierate di “Golf Girl”. Persino la voce di Paul ha un che di Pye Hastings, e scusate se è poco… In minor misura troviamo qualcosa dei Soft Machine o degli Hatfields ma anche qualche brezza sinfonica che sa di Spring o Cressida. Ce ne rendiamo benissimo conto nella centrale “Jupiter 3 AM”, mini suite in 4 movimenti, variegata, come è giusto che sia una suite, col suo soft jazz felpato, i suoni dolcemente intrecciati, le melodie aperte e sinfoniche ed i tratti più ruvidi con bei crescendo di Hammond. Non so chi sia questo signor Sogmore ma di sicuro deve essere un tipo strano, come si evince dalla ballad a lui dedicata, “Ballad of Lord Sogmore”, caratterizzata da scenari a tinte esotiche che profumano qua e là d’oriente. L’organo è riverberante e il brano è imbevuto di una dolce sinfonicità. Come dolce e suadente è anche la successiva “Cosmic Rays od Dawn”, questa volta dai connotati lievemente folkish. Questi 46 minuti e mezzo di viaggio, come avrete capito, sono a tutti gli effetti confortevoli, spassosi e a volte persino rilassanti, come la traccia di chiusura, “Earthpod”, col suo Mellotron da sogno che ci lascia con sensazioni assolutamente positive. I Magic Bus conoscono molto bene la materia e la hanno saputa plasmare a loro piacere, rivisitando suoni e motivi ben noti a chi legge e servendoli in modo invitante e gustoso. Sarà fin troppo facile per voi salire a bordo e lasciarvi semplicemente trascinare dalla musica. Io chiudo gli occhi, con questa musica qui portatemi pure dove volete, basta che non mi togliate le cuffie…


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Jessica Attene

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