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EL CIRCULO DE WILLIS Retales autoprod. 2015 SPA

A dieci anni dall'esordio, “Cuadrado”, ma a soli tre anni dal suo diretto predecessore, “Fabulas”, giunge graditissimo il nuovo album di questa pazza band madrilena. Questa volta non ho trovato edizioni stravaganti né fumetti né altri strani orpelli ma una semplice confezione con il classico jewel box di plastica ed uno scarnissimo booklet di appena quattro paginette. La follia invece è quella di sempre, per fortuna, anche se questa volta la band, anch'essa rimasta stabile rispetto al precedente CD con i suoi quattro agguerriti musicisti, ha scelto soluzioni meno bizzarre e meno aggrovigliate.
L'album, molto breve (circa 35 minuti in tutto), è stato ideato come se fosse un vinile con una lunghissima traccia di apertura di 19 minuti a ricoprire un virtuale lato A e tre pezzi più corti dispiegati sul lato B. Lo spartiacque fra le due inesistenti facciate avviene in parte anche sul versante stilistico. L'incipit infatti è qualcosa che si espande progressivamente in tante spirali fra fumi psichedelici e visioni space rock e le restanti tre composizioni, sempre strumentali come di consueto, risultano invece più movimentate e frastagliate. I due lati peraltro sono stati prodotti e registrati da due diverse equipe, forse per dare maggior risalto allo stacco che si percepisce saltando da una parte all'altra. La sensazione, rispetto al caos organizzato di “Fabulas”, è quella di un maggior ordine e di un maggior rigore compositivo ed esecutivo, anche se questa rimane comunque, con mio grande piacere, una band istintiva ed estroversa, che sa lasciarsi andare e che sa trascinare a dovere il suo pubblico.
“Puerta 186”, questo è il titolo della lunga traccia di apertura, è una specie di trip psichedelico che, grazie al suo minutaggio, ha tutto il tempo per svilupparsi, dilatandosi in lunghe volute concentriche di suoni e visioni. I ritmi sono sempre più sostenuti, la potenza si incrementa gradualmente. Altre volte invece i suoni si dileguano sfumandosi e alleggerendosi, trascinandoci alla deriva. Possiamo godere delle ruvidità di questo brano fatte di sonorità vintage ipnotizzanti con ampi riferimenti ai Gong. La registrazione è avvenuta in presa diretta, fatto che permette al gruppo di dare il via libera ai propri impulsi e ai propri istinti. La musica è qualcosa di incontenibile, che sfugge via veloce, si espande ma senza mai intorpidirsi e anche nei momenti di maggiore stagnazione appare sempre irrequieta. E’ interessante notare che Gonzalo Solas ha scelto di suonare il flauto in questa traccia, cosa che mi ha fatto pensare un po’ ai Solaris per le belle commistioni sinfoniche e cosmiche, mentre nel resto del disco preferisce il sax, più corposo e in un certo senso goffo e borbottante. A dare una maggiore scossa alla terna di canzoni conclusive interviene poi con chitarre aggiuntive l’ospite Álvaro Espinosa, lo stesso che in “Fabulas” suonava il Theremin.
Il lato B, come dicevo è nel complesso più indisciplinato con i suoi tanti capricci che però non hanno tempo di degenerare troppo, vista la relativa brevità dei pezzi rispettivamente di sei, due e otto minuti. “El Hombre Entre La Moltitud” ha un che di visionario e fumettistico, si giova dei suoi decisi sbalzi di umore e trova requie nelle sue vie di fuga Space, subisce le sue accelerazioni e le sue brusche frenate e sfoggia un’indole Zappiana. “Fractura” ha un groove più denso e possiede una ritmica più propulsiva con la batteria sostenuta di Iván Pozuelo ed il basso di Tomás Fernandez che sono pura dinamite. I riff di chitarra posseggono un piacevole grado di sporcizia ed i synth spaziali (Sergio Segovia li suona entrambi) ci portano su. “Nube9” è più intrigante e meno convenzionale con i ritmi che rimbalzano continuamente, la chitarra funky ed i suoi spazi oscuri che si aprono a imbuto con la complicità del sax lugubre. C’è da dire che, con tutta la carne al fuoco imbandita col vecchio album, “Fabulas”, mi sarei aspettata follie e voli pindarici di altre proporzioni e l’effetto è quello di un appetitoso antipasto, stuzzicante ma che non sazia. Album gradevole e a me gradito… ma quando si mangia sul serio??



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Jessica Attene

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