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CONSIDER THE SOURCE World war trio - part I (EP) autoprod. 2014 USA

I Consider The Source si formano nel 2004, dopo che il chitarrista Gabriel Marin ed il batterista Justin Ahiyon si ritrovano a jammare e a scoprire un’ottima sintonia. Ai due si aggiunge il bassista John Ferrara, che suonava in compagnia di Ahiyon fin dall’infanzia, ed il trio è subito composto. Musica spesso improvvisata, che accoglie in sé sia elementi etnici che prog-metal. Dopo il demo EP del 2005, due anni dopo esce il debutto ufficiale intitolato “Esperanto”, raccogliendo ottimi consensi. Marin ha preso in mano la leadership, ma gli altri non si limitano ad essere semplici comprimari. Così, accanto ad una chitarra con doppio manico – uno funge da MIDI-guitar e l’altro da chitarra fretless–, si mettono in mostra anche il basso “slappato” di Fontana e le percussioni di Ahiyon che risentono molto della musica indiana. L’esordio è imbevuto di influenze etniche, con un suono di sitar che può essere accostato alla fase più lisergico-contemplativa degli svedesi Siena Root. Gli album seguenti, “Are you watching closely” (2009) e “That's what's up” (2010), mostreranno un’attitudine più intricata, decisamente più consona ai concetti standard di prog-metal. Facendo menzione anche di alcune incisioni live, si riporta anche che nel 2012 Ahiyon lascia la band, temporaneamente sostituito da Louis Miller, poco prima dell’arrivo definitivo di Jeff Mann.
Un excursus storico molto ampio, necessario però per comprendere fino in fondo gli sviluppi della proposta CTS. Su questa prima parte dell’opera “Word war trio”, in realtà non c’è poi molto da dire. Si tratta di un EP contenente un’unica traccia di ventitré minuti e mezzo intitolata “Put Another Rock In That Bag”, divisa in sei parti (i pezzi nel lettore saranno cinque; la quinta e la sesta parte si trovano entrambe nell’ultima traccia). Degli esordi non c’è quasi più nulla, se non l’ottima prestazione di Fontana, soprattutto nel pezzo numero tre. Si comincia e si finisce con una specie di gorgheggio da soprano, presumibilmente riprodotto dalla chitarra synth di Marin. Un effetto gotico su ritmica abbastanza sostenuta, che magari ricorda alcune cose italiane di qualche tempo fa. Considerando che in quei casi molti scrivevano di chissà quale capolavoro sinfonico, viene da ribadire che non è tutto oro ciò che luccica. Attualmente la band propone più prog-metal con alcune digressioni space, tipiche di certe visioni sci-fi, con un andamento però costante, che non presenta mai quell’impennata che servirebbe. È comunque una suite che fa da preludio alla parte più imponente dell’opera, che nel 2015 verrà confezionata (a quanto sembra) in un doppio album. In questo senso, “Put Another…” può suonare davvero come un’introduzione ad un lavoro molto ambizioso. Ma per poter giudicare appieno questo primo dischetto occorre sentire anche tutto il resto, altrimenti l’operazione non sembra avere molto senso.
Si rimane quindi in attesa di poter tirare le somme definitive. Molto bella la copertina della confezione apribile, tra cataclismi, obelischi egiziani, guerrieri di terracotta cinesi ed altre meraviglie inserite in un caos finale.



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Michele Merenda

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