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UNDERFATE Seven autoprod. 2014 POL

L’intenzione di questa nuova band polacca è delle più nobili, un concept album strutturato come una storia di sette brani-capitoli la cui trama ha i risvolti di un thriller psicologico e onirico: Mercury è il protagonista della storia, un ragazzo risvegliato da un coma lungo 14 anni che si trova ad affrontare la sua nuova realtà in cui sogno e coscienza rimangono confusi e complementari; la musica “post progressiva”,come viene definita dagli Underfate, si armonizza bene con la trama di “Seven” e per quanto siano pretenziose certe etichette i brani danno il senso di una fusione dell’introversione decadente figlia della generazione post rock con le dinamiche melodiche del neo progressive, con frequenti inserti prog-goth metal più o meno accattivanti e spiragli psichedelici-shoegaze… Un calderone che potrebbe sembrare un po’ indigesto per alcuni ma che in sostanza risulta piuttosto interessante, scorrevole e godibile. La scelta degli Underfate di fare musica esclusivamente strumentale è pensata quindi come una colonna sonora ideale per una storia dalle tinte piuttosto oscure e l’insieme dei brani è infine piuttosto organico ed omogeneo: gli Underfate come classico quartetto chitarra-tastiere-basso-batteria mantengono un buon equilibrio tra gli strumenti e saggiamente fanno prevalere l’aspetto atmosferico della musica, messo in evidenza da una produzione efficace e pulita (forse anche troppo), senza particolari esibizioni virtuosistiche e con una apprezzabile sobrietà espressiva… In fondo gli Underfate suonano un progressive rock dalle forti venature dark che guarda ai Pink Floyd e Marillion quanto agli ultimi Katatonia, Agalloch, Anathema e Green Carnation, intriso di nebbiose atmosfere sognanti e gotiche ma privo di quella tetraggine che potrebbe rendere l’ascolto di “Seven” soffocante o sgradevole, anzi, spesso le sonorità sono alquanto ariose e trascinanti, anche per l’impatto relativamente heavy della chitarra elettrica… Talvolta c’è qualche tentativo di troppo nel voler complicare a tutti costi gli arrangiamenti in senso progressivo, specialmente nella sezione ritmica, qualche ridondanza inevitabile come conseguenza anche dell’inesperienza ma che non compromette il piacere dell’ascolto. Piuttosto ben curato anche l’aspetto estetico con una bella confezione in digipack ed un booklet che include i testi, fortunatamente in inglese, della storia…



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Giovanni Carta

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