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ODIN'S COURT Deathanity (R3) D2C Records 2016 USA

Rerecorded, Remixed e Remastered: le tre “R” che contraddistinguono il remake (aggiungiamone pure una quarta) dell’album già pubblicato nel 2008 dalla band del polistrumentista Matt Brookins su Progrecords. Ovviamente un concept, come da sempre ha abituato il musicista del Maryland, all’epoca incentrato sugli effetti macroscopici visibili causati dell’intervento umano più sconsiderato. Il lavoro era stato molto apprezzato dai fans, tanto che Brookins ha remixato le partiture già esistenti e re-inciso altre di sana pianta, come le voci qui affidate all’attuale cantante titolare Dimetrius LaFavors, per poi concludere con una nuova masterizzazione del materiale ottenuto.
Prodotto ben curato, soprattutto dal punto di vista formale, con la cosiddetta “sostanza” che però va e viene. Molte le influenze, che si incentrano soprattutto nel campo prog-metal. “Terracide” è il pezzo che introduce significativamente la storia, con voci, suoni vari, chitarra che viaggia meditabonda e solitaria sfruttando le sonorità che i Pink Floyd avrebbero ostentato da “The dark side…” in poi, a cui fa immediatamente seguito quel già citato prog-metal che ricorda maggiormente gli Enchant. Ci sono poi delle particolari percussioni, dei gradevolissimi assoli ad opera di Rick Pierpont e dello stesso Brookins, tutti elementi che verranno ritrovati nel corso dell’intera opera, facendo capire che l’approccio al lavoro non è mai stato di solo e semplice mestiere. Il problema è che nonostante tutto dodici composizioni sono troppe; a meno che l’ascoltatore non sia un fan sfegatato, difficilmente si arriverà alla fine senza sbadigliare più volte. Peccato, perché le invenzioni ci sarebbero, come gli inserimenti del pianoforte di Savino Palumbo ed il basso solista di Craig Jackson nell’ottimo strumentale “Esoterica” – contraddistinto peraltro da numerosi assoli di chitarra –, oppure il fare sognante dell’altro strumentale “Oceanica Toxica”.
“Ode to Joy” è un rifacimento prog-metal del ben più famoso “Inno alla gioia”, quarto movimento della Nona sinfonia di Ludwig Van Beethoven, che però non lascia poi grandi impressioni. Rimanendo nei propri parametri, sembra decisamente nelle corde dei nostri una canzone come “Manifest Destiny”, aggressiva e teatrale, con un refrain di romantica e drammatica decadenza. Su questa lunghezza d’onda c’è poi l’intricata “Animaulic” con Tom S. Englund degli Evergrey alla voce, con cui emerge il riferimento evidente di buona parte dell’album al prog-metal nordico che vede proprio nel succitato gruppo svedese uno degli esempi più lampanti del genere: basi metal, qualche vago riferimento retrò, assoli di grande forma (anche qui, la sostanza non sempre va di pari passo). E poi c’è comunque un po’ di sano epic sound con l’altro ospite, Tony Kakko dei finlandesi Sonata Artica, dietro i microfoni in “Crownet”.
Detto che comunque il batterista John Abella ci dà davvero dentro quando si tratta di sfornare controtempi a profusione, da menzionare senza dubbio il lavoro di Bill Green al sax tenore; anche lui compare come ospite e tra le varie apparizioni c’è quella su “Obesite”, una specie di semi-ballad niente male. E per concludere, il binomio finale composto da “Cosmosera” e “Vastificant”. La prima è contraddistinta da una partenza tranquilla, per poi diventare una cavalcata che a sua volta lascia il posto ai consueti controtempi e ad un cantato acuto, con una specie di growl appena accennato. Variazioni continue, che con il suono delle chitarre acustiche approdano al pezzo finale, in cui torna il sax di Bill Green.
Un piatto molto ricco, che peraltro acquista nuova luce con il buon lavoro di nuova (auto)produzione. Cosa c’è che non va, quindi? È stato già accennato prima: molta forma, una bella facciata, che però non sembra pervasa dal medesimo fuoco creativo, dal sentimento che può esserci dietro ad un lavoro davvero importante. Ma magari, per gli estimatori affezionati degli Odin's Court – e forse anche per Matt Brookins stesso – questi sono solo sterili dettagli.



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Michele Merenda

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