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THIEVES' KITCHEN The clockwork universe The Merch Desk 2015 UK

Il trio a cui si è ridotto questo gruppo è diventato a tutti gli effetti un gruppo anglo-svedese, dato che assieme al tastierista Thomas Johnson, si sono aggiunti, in qualità di ospiti stabili, gli altri Änglagård Johan Brand al basso e Anna Holmgren al flauto. Accanto a loro, il fondatore del gruppo Phil Mercy e la cantante Amy Darby, oltre all’ex Sanguine Hum Paul Mallyon, anch’esso in qualità di ospite. Ormai il suono dei Thieves’ Kitchen, fin dall’innesto di Johnson, ormai risalente a 3 album fa, si è assestato su un delicato Prog sinfonico dalle numerose variazioni fusion, ben differente dallo scialbo new Prog dei primi lavori. A dire il vero, la componente fusion, e più precisamente canteburyana, è in quest’album decisamente più presente e marcata, producendo trame talvolta intricate e complesse sui cui la bella voce di Amy, di cui notiamo il costante e progressivo miglioramento album dopo album, si sovrappone, talvolta in contro tono con le melodie principalmente create dalle tastiere, più spesso accompagnandole e guidandole verso territori deliziosi.
L’apertura dell’album è affidata a “Library Song”, un brano di poco meno di 7 minuti che, a mio parere, è uno dei punti più alti del dischetto. La chitarra di Mercy qui sembra ripercorrere ed inseguire le linee vocali di Amy in un brano che si sviluppa in modo brillante, con un andamento che talvolta ricorda i Gentle Giant e la presenza di quella sorta di mormorio tastieristico che ci accompagnerà in altri momenti nel corso dell’album. Il brano si sviluppa in un bel crescendo per poi raggiungere il climax e sfociare in un bello sfogo strumentale che invece profuma molto di Yes. La successiva “Railway Time” inizia con caute note di piano elettrico per poi lasciare subito il campo al cantato che ci guida in un brano più rock e melodico del precedente, pur sempre in presenza di ottimi intrecci, complessi ma accessibili, con un gran gioco del basso (l’apporto di Brand e del suo Rickenbacker mi pare peraltro molto importante in tutta la lunghezza di questo lavoro). “Astrolabe” è un brano strumentale breve, molto lento e delicato, caratterizzato da un duetto tastiere/chitarra, che funge da introduzione alla lunga “Prodigy”, che ritorna prepotentemente in territori Yes per dar vita a un brano dinamico, ricco di suggestioni deliziose, con flauto e Mellotron in bella vista, che si va ad agganciare quasi con la traccia successiva, l’imponente “The Scientist’s Wife”. Questa consta di 20 minuti di Prog CanterburYessiano; non è una suite in quanto non suddivisa in movimenti, anzi, si tratta di una canzone abbastanza unitaria ancorché, ovviamente, ricca di variazioni e situazioni. E’ prevalentemente strumentale e la voce di Amy viene sapientemente centellinata e contornata dalla magnificenza strumentale costruitale attorno (con riff di chitarra insolitamente battaglieri, peraltro) a sottolineare l’elegia triste e malinconica della storia che viene narrata, evidenziando quasi la solitudine della protagonista che pare cantare un'altra melodia rispetto a chi le sta vicino. Il pezzo sfocia tranquillamente e lentamente nell’ultima traccia strumentale, la lenta e gentile “Orrery”, dal sapore classicheggiante, introdotta dal suono etereo del flauto cui si affiancano poi piano e Mellotron, per sfumare poi così com’è iniziata.
Termina quindi con una carezza un album che ci offre delle spazzolate di Prog ben decise, anche se sempre per il verso del pelo. Un album che potrà allettare sia gli amanti di sonorità e tematiche classiche, sia coloro che prediligono un Prog più moderno ed eclettico. Per il gruppo ormai anglo-svedese questo rappresenta un altro bel tassello in una discografia che si sta arricchendo di volta in volta di affreschi musicali di tutto rispetto.



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Alberto Nucci

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