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NEEDLEPOINT Aimless Mary BJK Music 2015 NOR

La copertina giallognola coi suoi disegni a matita sembra emanare profumazioni anni Settanta e in effetti le ritroviamo tutte fra le pieghe di questo album. Il nome di Nikolai Hængsle Eilertsen, bassista degli Elephant9, dovrebbe essere di per sé una garanzia ed è proprio lui ad aver fondato il gruppo, pubblicando un disco di esordio nel 2010 dal titolo “The Woods Are Not What They Seem”, con una formazione a tre assieme al chitarrista jazz e compositore Bjørn Klakegg e al batterista Thomas Strønen. Un secondo album, “Outside the Screen”, giunge nel 2010 e la line-up prende corpo grazie all'arrivo del pianista jazz David Wallumrød. Arriviamo quindi a questo terzo disco con la formazione odierna che registra l'arrivo dietro le pelli di Olaf Olsen a sostituire il vecchio batterista.
Tentare di descrivere la musica partendo proprio dagli Elephant9 ha decisamente senso: quella attitudine live col gusto dell'improvvisazione, quelle ambientazioni psichedeliche e quelle sonorità vintage le ritroviamo tutte ma in questo caso, forse anche per la presenza del cantato, che è a cura del tastierista David Wallumrød, la struttura dei brani appare meno anarchica. Allo stesso tempo i pezzi sono rinfrescati da squisite aperture sinfoniche, con riferimenti a Wigwam e talvolta ai Gentle Giant, da digressioni di retaggio folk (mi riferisco però in questo caso a quello cantautoriale americano), e da intriganti contaminazioni con nuance Canterburyane.
La partenza è energica con un brano, “Fear,” che presenta ampi richiami a Caravan e Happy The Man. Il basso, esuberante, danza su ritmiche fluide e ondeggianti. L'organo scivola veloce su percorsi piacevolmente tortuosi e si libera in assoli catartici, spesso rivaleggiando con la chitarra di Klakeg, protagonista di fraseggi ariosi che prendono forma in un contesto architettonico aperto e mobile. “Why” è invece intensamente psichedelica e flessuosa e gli assoli intensi dell'organo sembrano penetrarti dritti dritti nelle vene. “Soaring” è all'inizio lenta e lunare, intrisa di sonorità cosmiche e singolari riflessi Kraut che si espandono su ritmi progressivamente incalzanti a creare una strana dicotomia. Il groove decolla lentamente mentre la voce solista sembra farsi sempre più distante. Le tastiere, che comprendono nel loro corredo, oltre all'organo, Clavinet e Prophet 5, snocciolano assoli con grande stile e con un piglio live molto disinvolto. Nella successiva “Shattered into Memories” esse continuano ancora nelle loro eccitanti concatenazioni di assoli in un'estasi di suoni dai riflessi psichedelici che giocano molto sulle distorsioni e sui riverberi, scivolando sul vibrante rollare della batteria.
La seconda parte dell’album è in generale più rilassata e la title track si muove ancora su ritmi dolci, il canto di Wallumrød è carezzevole e romantico e, soprattutto nelle timbriche più basse, ricorda quasi quello di Greg Lake. Intriganti gli intermezzi che si rifanno sfacciatamente ai Gentle Giant ed affascinanti le tastiere quando emergono in un lento straripare di emozioni. “Half Awake”, ed ecco ancora momenti di grande atmosfera, ha una struttura aperta ed imbevuta di psichedelia con bei momenti di improvvisazione. Ed in chiusura, con “Imaginary Plane”, si ritorna alle tonalità Canterburyane che si aprono sul tessuto fitto e leggero della batteria. Il cantato è soporoso, l’incedere rilassato ed il finale giunge inatteso dopo un momento di vuoto che sembrerebbe invece presagire altro e che di fatto ci lascia con un palmo di naso, come chi si rigira fra le mani una tazzina vuota dopo aver assaggiato nettare gustoso ma somministrato in quantità assai modesta. La durata complessiva del disco in effetti non raggiunge i 39 minuti di durata, quindi non ci rimane che rimetterlo da capo in attesa di qualcosa di nuovo che ci auguriamo non tardi troppo ad arrivare.



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Jessica Attene

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