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CROMWELL Black chapter red Progressive Promotion Records 2016 GER

Ormai non sono solo i leggendari gruppi dei seventies che non erano andati oltre la pubblicazione di un disco a ritornare sulle scene. Anche band degli anni ’90 sparite dopo un unico lavoro si riaffacciano timidamente. E’ il caso dei Cromwel tedeschi, autori nel 1997 di “Burning banners”, orientato verso un new-prog che non ha lasciato grandi segni. Ritroviamo la band in formazione parzialmente rinnovata nel 2016, con questo “Black chapter red”, che sembra riportare pregi e difetti del suo predecessore. La line-up è composta dai due fondatori Eric Trauzettel (batteria) e Wolfgang Täffner (tastiere) e dalle new entry Holger Weckbach (voce) e Frank Nowack (chitarre e basso). Una prima variazione significativa, quindi, la si nota nel passaggio da una voce femminile ad una maschile; da segnalare, inoltre, una certa robustezza in più, soprattutto nell’uso di chitarra e batteria. A mostrare questa nuova verve, ecco l’opener “Starlit sands” che proietta subito la musica verso un prog-metal dalle venature melodiche, soprattutto nelle ariose parti vocali. E’ un brano bene indicativo di come si svilupperà il lavoro, che cerca di unire sound robusto e aperture sinfoniche senza far venir meno l’orecchiabilità. Un po’ Dream Theater, un po’ Pendragon, insomma, tanto per sintetizzare. In alcuni frangenti questa formula riesce anche ad essere accattivante, ma alla lunga tendono a venir fuori stanchezza e prevedibilità. Uno dei problemi è che spesso e volentieri le buone intuizioni alle tastiere, vengono “sporcate” da una chitarra elettrica ruvida e distorta che sembra fuori contesto (emblematico il caso di “November sky”). Tra l’altro, anche prendendo singoli brani si può notare come ci siano sbalzi qualitativi. Una “Black confetti” e una “Roots”, che devono moltissimo al new-prog degli IQ, per esempio, scorrono via con grande piacevolezza, mentre risultano poco convincenti tracce come “The lights”, uno strumentale dalla base acustica che fa gran fatica a decollare o “Kissing dynamite”, maldestro tentativo di costruire un pezzo immediato che fatica a far emergere feeling. I musicisti suonano bene e senza sbavature e la buona qualità di registrazione è sicuramente un punto di forza, ma alla fine il massimo che si può dire, per i limiti descritti, è che siamo di fronte ad un lavoro onesto e dalle poche pretese, il classico compitino ben eseguito, senza picchi e con poca fantasia.



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Peppe Di Spirito

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CROMWELL Burning banners 1997 

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