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EVERSHIP Evership Atkinsong Production 2016 USA

Shane Atkinson è un tipo particolare. Attivo sulla scena musicale di Nashville sin dalla fine degli anni ’80 e con un paio di album pubblicati, decide, anche perché deluso dal mondo discografico, di lasciare la musica per dedicarsi ad altro. Non smette però di comporre e nel 2005 inizia a costruirsi uno studio di registrazione. Dopo più di dieci anni riesce finalmente a dare vita alla sua creatura, gli Evership e a pubblicare l’agognato album d’esordio. Con lui (voce, tastiere, batteria, theremin, stick…), un ottimo vocalist (Beau West), il fratello James Atkinson (chitarre), Jaymi Millard al basso, Nicelle Priebe al violino ed altri collaboratori ancora. Accompagnato da una copertina tipicamente progressive (e molto bella), l’album uscirà ben presto anche in vinile a dimostrazione dell’ambizione del progetto.
Per questo debutto la band ci offre circa 60 minuti di un prog rock vibrante, “all’americana”, diremmo, fatto di suoni brillanti, melodie affascinanti, qualche virtuosismo ed influenze che vanno dai Kansas ai Queen e che vedono nei canadesi Mystery un buon paragone per cogliere l’essenza del sound dei ragazzi statunitensi. Non mancano momenti più “epici” a ricordarci gli Yes o gli Styx a cui la sensibilità musicale di Atkinson pare proprio orientarsi. Un ottimo prodotto di rock sinfonico, anche radiofonico se vogliamo (se non fosse che i brani, eccetto l’ultimo, durano tutti tra i 9 ed i 14 minuti… e quindi quale radio sarebbe così “pazza” da trasmetterli…?), sfavillante, ricco di adrenalina e mai noioso.
La voce di West spicca subito in “Silver light”, il brano d’apertura. Ritmica decisa e muscolare, secchi squarci di chitarra, sventagliate di synth: tutto magari prevedibile, ma comunque di sicuro e positivo effetto. Pregevole “Slow descent into reality”, sempre ariosa e melodica, ricca di impasti vocali e piacevolmente sinfonica. “Evermore” potrebbe essere il trait d’union tra un brano degli Styx ed uno dei Queen al quale viene aggiunto un pizzico di… Mystery e di… John Miles (quello di “Music”). Meno spumeggiante “Ultima Thule” malinconica nella sua prima metà, più movimentata nella seconda e con un importante “solo” di synth di Atkinson, mentre il brano sfuma dolcemente come era iniziato. Tastiere soffuse accompagnano la voce di West nei primi momenti di “Flying machine”. Il brano cresce lentamente con qualche momento “space” e di atmosfera sospesa come “la macchina volante” del titolo… poi BOOM, l’esplosione tanto attesa e relativi “fuochi d’artificio”… Chiudono l’album i due minuti (sostanzialmente inspiegabili…) di “Approach (Binaural)”, composta di… rumori…
L’album, malgrado l’incomprensibile traccia di chiusura, è formalmente impeccabile, perfettibile ma di gradevolissimo ascolto. Una band con un Signor cantante, tante e buone idee (quelle del leader Atkinson) sviluppate con gusto ed il dovuto brio. Un lavoro molto “americano” ma che potrà fare breccia anche nel cuore di qualche progsters nostrano (notoriamente difficile…) che non disdegni il prog sinfonico di qualità. Come è il caso.


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Valentino Butti

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