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ABSENTHIA Novecento - atto primo autoprod. 2016 ITA

Il gruppo vicentino torna a farsi sentire, sette anni dopo l’album d’esordio di “Tenebrae Vincunt”, con un mini album che, a giudicare dal titolo, dovrebbe rappresentare la prima parte di qualcosa di più ampio. Perso per strada il secondo chitarrista Ferruccio Caoduro, la band si ripresenta immutata per il resto della line-up e con uno stile, pare, più asciutto e diretto. Lo stile degli Absenthia, quale si può ascoltare da queste tracce, miscela un folk metal dalle atmosfere talvolta gotiche e le ritmiche abbastanza gentili con un Prog italiano teatrale piuttosto reminiscente di Banco e Balletto di Bronzo.
Le tracce presenti in quest’album sono 7, ma nella versione in digitale è presente una traccia in meno, per un totale di 32 minuti; queste non formano esattamente un concept ma sono in qualche modo unite dal tema comune di visitare alcuni aspetti e situazioni del XX secolo, anche se, ad esempio, in “La voce di Neda” si parla di una ragazza uccisa nel 2009 durante gli scontri a Teheran a seguito della rielezione di Ahmadinejad le immagini della cui uccisione hanno fatto il giro del mondo.
La traccia di apertura, “La prima ombra”, narra di un episodio molto simbolico, ovvero il breve incontro avvenuto nel 1959 tra Paul Tibbets e Mitsuo Fuchida, rispettivamente piloti dell’aereo che sganciò l’atomica su Hiroshima e di uno degli aerei che attaccò Pearl Harbor nonché primo testimone dello sgancio dell’atomica stessa. “Lady White” è una specie di rivisitazione della favola di Biancaneve, ove la ragazza, invece che vittima di una mela avvelenata, è malata di tumore.
Inutile soffermarsi ulteriormente sulla storia delle singole canzoni; i testi, come si può intuire, sono abbastanza interessanti, non banali e sviluppati in maniera molto efficace e godono altresì della potente e declamatoria voce di Igor Daoconte che si produce addirittura in un crescendo tenorile sul finale di “Alba elettrica”. Se ci soffermiamo invece sul carattere musicale di queste tracce, tutte piuttosto brevi tranne gli 8 minuti di “Troika”, come ho già detto le ritmiche sono spesso molto potenti, anche se di rado si sfocia nel metal tout-court, spesso le tastiere che stendono imponenti tappeti o stanno invece al gioco della sezione ritmica ad assecondare un’urgenza percussiva che asseconda ed amplifica le tonalità drammatiche del cantato.
In definitiva si tratta di un dischetto piacevole, dalla registrazione senz’altro rivedibile ma perdonabile e comunque non troppo penalizzante, con liriche intelligenti e piacevoli da ascoltare. L’album è di non difficile ascolto anche se forse un po’ ostico da recepire di primo acchito per orecchie più aduse al Prog classico.



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Alberto Nucci

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