Home
 
KARMAMOI Silence between sounds autoprod. 2016 ITA

Questa sì che è una sorpresa. Gruppo italiano con sede da individuare prevalentemente a Londra, che nel suo curriculum vanta due album più un EP… Musica tendente in maniera decisa alla ricerca psichedelica, ricorrendo anche all’elettronica, due chitarre e voce femminile, quella di Serena Ciacci, co-fondatrice con Giovannoni del gruppo nel 2008. Solo che la Ciacci, ad un certo punto, prosegue per la sua strada, così come Fabio Tempesta, uno dei due chitarristi. Un anno a lavoro con la nuova vocalist, Joline Forshaw, che porta però ad una nuova separazione e, di fatto, a rimescolare le carte portando avanti un approccio musicale differente, di sicuro ancora più profondo che in passato. L’impegno nel settore cinematografico deve aver sicuramente giocato molto nella metamorfosi, perché questo terzo lavoro della band (in origine) romana potrebbe anche essere inserito nel filone delle colonne sonore di alcuni film. Lavori apparentemente incomprensibili che invece scavano dentro le apparenze stesse, mettendo alla luce turbamenti dai simbolismi tipicamente psicanalitici. Le pellicole a cui far riferimento potrebbero essere quelle di David Lynch – chissà perché, il primo titolo che viene in mente è “Strade perdute” –, dove il celato turbamento psichico è accompagnato da sonorità assolutamente moderne. Ma siccome le sorprese non sono di certo finite, lungo tutto l’album è comunque presente il già citato Tempesta, prevalentemente alla seconda chitarra, che però piazza anche un paio di assoli su “Atma” e “Sirio”. Il batterista Daniele Giovannoni produce e arrangia l’album, ricorrendo per la prima volta a dei turnisti che di volta in volta supportano le nuove idee messe in pratica da lui, dal chitarrista Alex Massari e dal bassista Alessandro Cefalì. Diverse voci femminili, che più o meno si somigliano tra loro, compresa la stessa Ciacci, che fa la sua apparizione su “Lost Days” (anche perché le tracce sono state elaborate tra il 2014 ed il 2016). Il gruppo ricerca davvero il concetto di silenzio che è insito nella musica stessa, come suggerisce il titolo; vi è infatti un’alternanza di numerosi elementi, a volte anche duri, immersi in quella che è una vera e propria quiete meditativa capace di far risaltare i singoli momenti. C’è qualcosa che sicuramente si rifà ai King Crimson, quelli del primo periodo, così come ai Pink Floyd psichedelici del dopo Barrett, soprattutto nell’iniziale “Nashira”, che con l’intro forma complessivamente dieci minuti in cui vengono riassunti tutti quegli elementi musicali che poi si alternano in ciascuna composizione. Risulta molto buono l’utilizzo del pianoforte, dalla timbrica sempre limpida, mentre il flauto ed il violoncello – quando presenti – sono inseriti nel mix complessivo, contribuendo a formare il suono d’insieme.
Alcune composizioni come “Atma” (nella sua prima parte contraddistinta quasi da un incedere mantrico e dall’ampio respiro) potrebbero ricordare “Imperfetta solitudine” dei Pensiero Nomade, anche se in quel caso si poteva parlare dei brani quasi esclusivamente in ottica delle sensazioni ricreate; qui c’è invece una struttura un po’ più convenzionale, con una quantità di “elettricità” sicuramente maggiore. Ne è una prova evidente “Sirio”, giocata con le due chitarre che controllano un voltaggio comunque molto alto, su degli eccellenti controtempi ritmici. “Martes” continua sul versante tematico dell’astronomia, con un incedere che parte quieto e che si evolve con fare quasi “sinfonico” assieme ad un gioco d’effetto in cui riveste un ruolo importante la voce. Elemento, questo, affidato la maggior parte delle volte a Sara Rinaldi, la quale mostra spesso uno stile tendente all’indie, soprattutto in “Plato’s Cave”, in cui il mito riportato nella “Repubblica” del filosofo ateniese viene volutamente cantato con stile stanco e trascinato. Probabilmente il pezzo migliore, grazie soprattutto ad un attacco chitarristico di assoluto valore ed il finale affidato all’assolo tastieristico di Emilio Merone. Detto già di “Lost Days”, molto rilassata, si conclude con “Canis Majoris” (costellazione la cui stella alfa è proprio Sirio…), interessante soprattutto nella seconda parte, tra soluzioni crimsoniane anni ’90 e il flauto di Lara Bagnati, finalmente in evidenza, che poi contribuisce a creare una piacevolissima conclusione.
Beh, in modo molto curioso, sembra che quest’album – anche per il numero di presenze effettive – abbia ricevuto un’impronta decisamente femminile. Una soluzione che ben si è armonizzata con le scelte stilistiche intraprese, creando un equilibrio che si spera non si riveli precario.



Bookmark and Share

 

Michele Merenda

Italian
English