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MAXOPHONE La fabbrica delle nuvole AMS Records 2017 ITA

Anno 2017, appuntamento con la storia. Eh si perché nel loro piccolo i Maxophone la storia del progressive (che nei ’70 era conosciuto come pop) italiano l’hanno fatta e, cosa ancora più sorprendente, con la pubblicazione di un solo album, omonimo, nel lontano 1975, quando secondo molti il fenomeno “prog” era in fase di reflusso irreversibile. Una dozzina di anni fa la band aveva pubblicato uno splendido cofanetto (DVD+CD) “From cocoon to butterfly” contenente brani inediti o, meglio, demo ed il video di una performance live negli studi RAI (!!) appena successiva alla pubblicazione dell’allora nuovo album. Poi nel 2009 la reunion e la pubblicazione nel 2014 del disco dal vivo “Live in Tokyo”. Oggi a chiudere idealmente il cerchio è la volta, finalmente, del nuovo album in studio “La fabbrica delle nuvole”.
La formazione ruota ora attorno alle figure di Sergio Lattuada (pianoforte, tastiere e voce) e di Alberto Ravasini (chitarre, tastiere e voce solista) a cui si sono aggiunti nel corso degli ultimi anni Marco Tomasini (chitarra elettrica e cori), Marco Croci (basso e cori) e Carlo Monti (batteria e violino). Se l’album di 40 anni fa si caratterizzava, anche, per il sound prodotto dai numerosi fiati suonati da Maurizio Bianchini e Leonardo Schiavone, oggi l’approccio del gruppo è più diretto e rock, ma sa ancora emozionare come una volta. I 9 brani (uno interamente strumentale, la title track) appaiono solo apparentemente più accessibili (ed in un paio di episodi sfiorano anche il pop di classe) ma un ripetuto ascolto evidenzierà ben presto le numerose sfumature presenti, tanto che alla fine ci accorgiamo di aver ritrovato il tipico Maxophone-sound, solo rinnovato, attualizzato e rinvigorito.
Un lavoro piuttosto omogeneo, “La fabbrica delle nuvole”, nel quale spiccano parecchie perle. Una di esse è la splendida title track, la più “tipicamente” prog e che ci riporta alle atmosfere del Gigante Gentile (“In a Glass House”…) per la varietà e la complessità dei temi proposti. Non da meno, seppur muovendosi su altre coordinate, “Perdo il colore blu” dal buon “punch” e con Tomasini che si esibisce in un bel guitar-solo. Affascinanti gli impasti vocali di “La luna e la lepre”, una graziosissima favola rock che fa dei Maxophone dei novelli cantastorie. In un paio di occasioni si strizza l’occhio all’easy-listening (sempre sui generis…) come ne “Il passo delle ore” ed “Estate ‘41” in cui, se il refrain rimane subito impresso, non si può comunque non notare la squisita fattura delle musiche. Molto valida “Il matto e l’aquilone” dall’inizio sobrio ed anche soft per poi crescere di intensità con le tastiere di Lattuada in primo piano ed una ritmica articolata che omaggia ancora i Gentle Giant. Si chiude con la struggente “Le parole che non ti ho detto”: pianoforte, voce, violino… semplice ma efficace.
Dare un seguito credibile al capolavoro di 40 anni fa era difficile. I “nuovi” Maxophone e “La fabbrica delle nuvole” passano a pieni voti l’esame. E’ un ritorno che non sa di “amarcord”, ma che suona fresco ed al passo con i tempi, con una certosina attenzione ad arrangiamenti e liriche. Peccato per i soli 45 minuti di durata (almeno un brano in più ci stava eccome), ma si tratta di un dettaglio. Speriamo invece che “La fabbrica delle nuvole” possa avere al più presto un seguito e non dovere attendere altri… 40 anni!!!



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Valentino Butti

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