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ESQUIRE III - No spare planet Esquire Music Records 2016 USA

A distanza di oltre vent'anni, quando ormai se n'erano del tutto perse le tracce, e in circostanze certamente fuori dall'ordinario, ecco arrivare il terzo capitolo del progetto “pop-rock sinfonico” ideato da Nikki Squire, prima moglie del compianto bassista degli Yes, in collaborazione con il bassista e compositore Nigel McLaren. La band, basata negli USA, esordì come trio (includendo il tastierista Charles Olins) nel 1987, sotto l'ala protettrice di Chris Squire appunto, e all'omonimo album, pubblicato per un'etichetta major e che riscosse un discreto successo, contribuirono ospiti dell'universo Yes come Alan White e Trevor Horn; arriviamo al decennio successivo e nel 1994, con Chris non più coinvolto (la coppia divorziò alla fine degli anni '80), si consolida la partnership artistica tra Nikki e Nigel (ora polistrumentista) e il duo, lavorando stavolta sotto vincoli economici molto più stringenti, pubblica un po' in sordina l'album “Coming Home”, di nuovo con ospiti illustri quali Denny Laine (Moody Blues, Wings) e Chris Slade (Manfred Mann band), oltre alla figlia Carmen Squire come corista. Negli anni a seguire, il duo continua a condurre un'esistenza “latente”, scrivendo nuovi brani senza alcuna costrizione discografica, fino all'improvvisa, tragica scomparsa di Nigel nel 2015, a cui seguirà di pochi giorni la morte di Chris Squire, la cui influenza musicale, sia pure indiretta, continuerà a farsi sentire nell'arco dell'intera la produzione degli Esquire.
E' grazie alla determinazione di Nikki e all'impagabile lavoro del produttore Mark Wallis che questi brani, spesso lasciati incompiuti, riescono a vedere la luce e ad essere aggregati in modo certamente valido e coerente in un'opera (dedicata all'amico Nigel) il cui filo conduttore è un raffinato pop-rock melodico dal forte sentore anni '80, a volte arrangiato in maniera più sinfonica, ma sempre in modo misurato e spesso in funzione della particolare voce della Squire, per sua ammissione influenzata da Joni Mitchell e Judy Collins.
Si parte con uno dei brani migliori, la mini-suite “Ministry of life”, in un vago stile Yes periodo Rabin, con curatissime armonie vocali e arrangiamento per chitarra e piano, elementi che ritroviamo in brani successivi come “She said”, basata su un costante loop ritmico e l'accattivante “Stay low”, brano forse più radiofonico interpretato un po' alla maniera di Bonnie Tyler. La voce di Nikki in altri frangenti può essere descritta come una versione femminile di Jon Anderson, mentre il basso corposo di McLaren non è esente da paragoni con Chris Squire, per cui il legame con gli Yes persiste, sia pure in una proposta molto più semplificata. Forse meno interessanti gli episodi in cui prevale il pop tipicamente “eighties”, come “Human rhythm” o “Tonight”, quest'ultima affine anche a qualcosa degli ultimi Mercury Rev, così come la “Friends & enemies” affidata alla voce ruvida di Nigel, mentre mi sento di dare un giudizio positivo alla ballata “It's over” e al pop barocco di “Where is the love”, impreziosita dal flauto di Isabelle Meyrignac.
E' senza dubbio un piccolo miracolo che questa musica non sia andata perduta, gli spunti intriganti non mancano per un appassionato di progressive rock, anche se mi sento di consigliare l'album principalmente ad estimatori di dischi come “Big Generator” o “Talk” ed ai completisti dell'universo Yes in genere, consigliando al resto del mondo un ascolto preventivo all'acquisto.



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Mauro Ranchicchio

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