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BAROCK PROJECT Detachment Artalia 2017 ITA

Il gruppo emiliano è arrivato al ragguardevole traguardo del quinto album, più un doppio live. Dall’esordio “Misteriose voci” del 2007 ad oggi, dopo esattamente dieci anni è rimasto in formazione solo il tastierista e polistrumentista Luca Zabbini, che in quest’ultimo lavoro si mette anche dietro al microfono come voce solista. Sì, perché lo storico vocalist Luca Pancaldi non è più in formazione, quindi il vulcanico Zabbini si è dovuto sobbarcare anche questa incombenza. A dire il vero non ne esce affatto male, anche grazie ad una produzione che cura i particolari, dà corposità al suono e valorizza la gran mole di materiale in fase di assemblamento. Per dichiarazione dei diretti interessati, questo vuole essere un album che va a segnare una nuova era per la band. In effetti, l’approccio più solare del precedente “Skyline” (2015) – che per molti versi traeva ispirazione sia dai Kansas che dai Jethro Tull – è stato lasciato alle spalle, abbracciando qualcosa di sicuramente più complesso e di certo non così immediato, narrando la filosofia dell’Abbandono riportata nel titolo, vista come la liberazione dalla schiavitù di ciò che riteniamo sia in nostro possesso… ma che in realtà possiede noi. Qui di carne al fuoco ce n’è tanta, magari qualcuno potrebbe dire che a volte è anche troppa, e forse non tutti riusciranno ad ascoltare interamente questi settantacinque minuti di musica senza accusare un po’ di stanchezza. Di certo i Barock Project sono da qualche anno a questa parte una band coesa, con una sua stabilità, e questo ha sicuramente portato al volersi esprimere liberamente, sfruttando tutti i mezzi tecnici a propria disposizione. Tra i tanti elementi inseriti, qualcuno potrà non sopportare gli inserimenti prog-metal che già sono ravvisabili in apertura, a metà di “Promises”, così come altri potrebbero non tollerare i reiterati riferimenti neo prog di cui sembra non ci si voglia separare. I rimandi sono tanti e affiorano alla mente in modo immediato; non si tratta solo di nomi celebri che sono poi stati un riferimento per il (sotto) genere, come Genesis e Yes, ma anche di altri come gli IQ, per non parlare di Moon Safari per quanto riguarda gli accenni più pop e Big Big Train. Ma anche quando potrebbero affiorare alla mente i cloni dei cloni, tutto viene ad onor del vero suonato con competenza, senza cogliere oggettivamente delle forzature. Ci sono dei repentini cambi di registro, questo sì, che in certi momenti potrebbero sembrare troppo bruschi.
Un brano come “One day” farà sicuramente la gioia di tutti gli amanti dei tanti nomi sopra citati, a partire dalla chitarra acustica e dalle parti vocali iniziali, molto in stile Hackett, con tanto di nacchere inserite in un contesto sinfonico, per poi passare a quei bruschi cambiamenti di cui si parlava prima, qui sfruttati con un “ponte” costruito con materiale di chiara marca Tulliana, per poi lasciarsi andare ai sinfonismi più… bombastici. Ma in tutto questo mare magnum di note e soluzioni, ciò che emerge con maggiore limpidezza alla fine è il pianoforte, come nell’intima “Alone”; ma emergono anche gli inserimenti di chitarra acustica e a dodici corde di cui è disseminato l’album, tutto ad opera del solito Zabbini, come si evince nei richiami esotici di “Secret Therapy”, dal refrain orecchiabilissimo come solo i già menzionati svedesi Moon Safari hanno saputo fare, nel bene e nel male. Su “Broken” e la summenzionata “Alone” canta Peter Jones (nei Camel, tra gli altri), ponendo le versioni più zuccherose del prog all’estrema attenzione, anche se i controtempi e le orchestrazioni non mancano mai, soprattutto nel primo dei due brani, che nel finale vede anche Ludovica Zanasi in una particina vocale. Sicuramente, quando Marco Mazzuoccolo riesce a dar sfogo alla propria chitarra elettrica, i brani riescono ad andare oltre quegli schemi che alla lunga rischiano di diventar stucchevoli per chi non è fanatico di determinate soluzioni compositive. Purtroppo non lo si sente così tanto spesso in fase solista ed è un peccato; su “Rescue me”, molto USA anni ’80, sembra partire… ma poi si ferma troppo presto. I suoni tecnologici in questo lavoro sembrano sempre presenti, tipo quelli che fanno da passaggio in “Twenty years”: una prima parte intimista, col solito bel pianoforte, ed una seconda decisamente tosta, dove Mazzuoccolo finalmente prende la parola con decisione e spara un grande assolo, seguito dai controtempi di quella che al di là di tutto si dimostra un’ottima sezione ritmica, formata dall’ormai consolidato batterista Eric Ombelli e dal nuovo bassista Francesco Caliendo. I brani finali sembrano quelli capaci di dare un maggior numero di emozioni anche agli ascoltatori più sbilanciati verso il rock, continuando a mantenere sempre la consueta attitudine progressiva. “Waiting” ha un po’ di Steven Wilson, qualcosa anche dei Dream Theater, con istanti finali simil-Floydiani. “A new tomorrow” è una gran bella composizione, probabilmente perché a lunghi tratti ricorda tanto qualche ballata in stile Ian Anderson, riempita ovviamente da tantissimi particolari in stile Barock Project, prima di accendersi in chiave “stelle e strisce” e passare al solito pianoforte tanto rarefatto quanto maledetto, preludio di passaggi letteralmente pirotecnici. La chiusura è affidata a “Spies”, che a qualcuno non ha comunicato nulla ma che invece risulta forse l'episodio meglio riuscito, ben cantato, con i vari strumenti perfettamente bilanciati e un buon insieme di parti strumentali, anche jazzate. Un pezzo non menzionato e che anch’esso riassume a sua volta le caratteristiche dei nuovi Barock Project è “Happy to see you”, tra echi di cantautori come Simone Cremonini e Robin Williams nelle strofe iniziali e una fugace apparizione all’organo Hammond che a certuni ha fatto inneggiare un po’ troppo presto a John Lord. Inoltre, la chitarra elettrica alla fine si lascia andare che è una bellezza, un po’ nello stile di Corrado Rustici, tutto supportato dagli ottimi Caliendo e soprattutto Ombelli.
Beh, è stata lunga. Lunga e un po’ affannosa. Occorre fermarsi a respirare, perché i nostri hanno reso fede al monicker a suo tempo scelto. Sono veramente barocchi … questi Barock Project! Non si fermano, si evolvono. O forse regrediscono nel formalismo, chi potrebbe dirlo con esattezza, visto la soggettività di tutti gli elementi messi in gioco? Di sicuro, Zabbini & C. sanno suonare davvero bene. E forse, nonostante tutto, sanno anche quello che fanno. Qualcuno sarà andato in sollucchero a priori. Qualche altro, non si sa.



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Michele Merenda

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